Fu una delle più gravi tragedie del Mediterraneo, un evento simbolo degli orrori che sono continuati nel canale di Sicilia, nonostante i tentativi d’intervento e gli annunci di nuovi provvedimenti da parte di governi di ogni orientamento in Italia.
Dieci anni fa, il 3 ottobre 2013, il naufragio di un peschereccio stracarico di migranti partito da Misurata, in Libia, fece almeno 368 vittime.
Il natante era arrivato a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, quando un guasto dei motori spinse il comandante a incendiare degli stracci per fare delle segnalazioni, provocando il panico fra i passeggeri e il ribaltamento del natante. Anche gli interventi dei pescherecci presenti in zona furono vani: i naufraghi erano cospersi di gasolio, rendendo impossibile issarli a bordo, ma ci furono anche dubbi sui tempi di arrivo dei soccorsi da parte della Guardia costiera, che avrebbe impiegato quasi un'ora per raggiungere il luogo del naufragio.
Alla fine le vittime vennero quantificate in 368, ma fra i superstiti c’è chi assicura che a bordo c’erano più di 500 persone.
Fu una tragedia che scosse il paese, ma che, a 10 anni di distanza, evidentemente non servì a migliorare in via definitiva la situazione nel canale di Sicilia: due anni dopo, nel febbraio del 2015, una nuova ecatombe costò la vita ad almeno 300 persone, e gli sbarchi continuano.
Per ricordare quei morti, e in generale tutte le vittime dell’immigrazione nel Mediterraneo (che secondo il Comitato 3 ottobre altro dopo la tragedia sarebbero 27 mila negli ultimi 10 anni), a Lampedusa è stata organizzata una marcia verso la “Porta d'Europa”, monumento simbolo affacciato sul Mediterraneo e sull'Africa, con oltre 200 studenti giunti da tutta Europa, alcuni sopravvissuti, le famiglie delle vittime, e anche i pescatori che parteciparono ai soccorsi.
Una corona è stata deposta in mare in ricordo delle vittime, ed è stato promosso l’evento "A Europe of Rights", che ha dato voce ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime, ma anche a chi fa soccorso in mare e a chi si occupa di accoglienza.
Alessandro Martegani