Rilanciare il programma, ma soprattutto assicurare un sostegno al governo guidato da Giuseppe Conte, vale a dire: trovare un numero sufficiente di “volenterosi”, come li ha chiamati il Premier, in grado di sostenere la maggioranza al Senato.
Attualmente il governo è, di fatto, ostaggio di Italia Viva: se Matteo Renzi, che ieri ha deciso di astenersi, passasse all’opposizione votando contro l’esecutivo, non ci sarebbe più storia per il governo Conte.
Qualcuno dei volenterosi, definiti anche “responsabili”, o peggio dall’opposizione di centro destra, si già fatto vedere, e non senza conseguenze: Maria Rosaria Rossi, fra le fedelissime di Berlusconi, soprannominata “la Zarina” dagli azzurri, e Andrea Causin, un po’ meno fedele visti i cambi di casacca già effettuati in passato, hanno detto sì a Conte e sono stati immediatamente espulsi fa Forza Italia, ma hanno tracciato la strada che il Premier spera di far percorrere anche ad altri senatori.
Le trattative non si sono mai fermate e, scampato il pericolo del passaggio parlamentare, ora si punta ad aumentare il consenso al Senato: i traghettatori della maggioranza puntano ai centristi dell’opposizione, all’Udc, che ha votato contro ma che ha sempre tenuta aperta una linea di dialogo, ai fuoriusciti di Pd e 5 Stelle (il senatore Tommaso Cerno è rientrato nel Pd ad esempio), e anche al gruppo di Italia Viva, che ha tagliato i ponti con il governo, ma che potrebbe perdere qualche senatore affascinato dalla possibilità di avere nuovi incarichi governativi. Del resto alcuni ministeri erano già stati offerti a Italia Viva per evitare lo strappo: la giustizia a Maria Elena Boschi, e anche l’agricoltura è in via d’assegnazione.
Fin qui nulla di nuovo per la politica italiana, ma rimane il giudizio politico su una simile operazione, un giudizio che cambia così come cambiano le maggioranze: se ai tempi di Berlusconi erano Pd e 5 Stelle a parlare di “volta gabbana”, di “mercato delle vacche” e di politici “incollati alla poltrona”, gli stessi termini, accanto a quello di “casi umani” utilizzato dal senatore Luca Ciriani di Fratelli d’Italia, sono stati lanciati dai banchi del centro destra, contro forze come il Pd, e i 5 Stelle che non solo nella scorsa legislatura, gridavano al trasformismo, ma sostengono anche la necessità d’introdurre il “vincolo di mandato” per far decadere chi cambia gruppo parlamentare. Un principio che, oltre ad essere quasi assente nelle democrazie del mondo, ieri avrebbe reso impossibile la sopravvivenza del governo Conte di cui fanno parte.
Su questo aspetto naturalmente Lega e Fratelli d’Italia stanno battendo da giorni, tanto da chiedere un incontro con il presidente Sergio Mattarella, che dovrebbe vedere anche Conte, per sottolineare come soluzioni simili fossero state cassate dal Quirinale all’inizio dalla legislatura e come sia necessario andare a elezioni, pandemia o non pandemia.
Più sfumata la posizione di Forza Italia: Silvio Berlusconi ha seguito la crisi a distanza, e sarebbe diviso fra la necessità di mantenere unito il centro destra e la vocazione europeista del suo partito, sempre più distante dalle posizioni e dalle espressioni affatto moderate di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Gli Azzurri hanno votato “no” a Conte, ma potrebbero decidere di far parte di un governo diverso, senza Conte alla guida e più orientato al centro, che però, presumibilmente, sarebbe inaccettabile per il Pd.
Rimane il fatto che ora Giuseppe Conte è più debole e rischia d’inciampare a ogni passo se non troverà al più presto, entro due settimane, delle stampelle fidate e solide: la maggioranza relativa non basterà fino a fine legislatura, tanto più se ottenuta sommando i voti dei senatori a vita (con Liliana Segre che ha sfidato coraggiosamente la pandemia per votare), due voti raccolti grazie alla prova video in extremis, e qualche fuoriuscito che potrebbe anche valutare in futuro di ritornarle all’ovile. Per ora non su vede nemmeno l’abbozzo di quel gruppo al Senato di “volenterosi”, o come si voglia chiamarli, che dovrebbero dare un nuovo e stabile sostegno al governo, così come chiesto da Sergio Mattarella.
Matteo Renzi intanto sta a guardare: si è preso un gran rischio, quello di essere messo in un angolo e diventare uno dei tanti gruppi ininfluenti, ma per ora è ridiventato protagonista, perlomeno sui giornali. Del resto lo scopo non era far cadere subito Conte, ma divenire quello che Spadolini chiamava “l’ago della Bilancia” per la maggioranza. L’astensione è stata un segno di disponibilità al dialogo, ma l’obiettivo, nemmeno troppo celato, non è quello di far saltare il banco, gli unici che vogliono veramente le elezioni sono Giorgia Meloni e in parte la Lega, ma arrivare a un altro governo, senza Conte, con cui Renzi ormai ha rotto i rapporti, e più orientato verso il centro, per finire la legislatura e affrontare con equilibri diversi anche l’altro impegno, accanto alla gestione del recovery plan e della pandemia: l’elezione del nuovo Capo dello Stato, uno dei motivi principali per cui il centro sinistra aveva dato vita al Conte 2, proseguendo la legislatura.
La pulsione maggiore a sostenere il governo Conte, più che dal programma e dalla necessità di gestire il paese nella pandemia, viene però dallo spauracchio delle elezioni, che ridurrebbero di un terzo i parlamentari, vista la recente riforma, e provocherebbero cataclismi nei gruppi: se i sondaggi attuali si tramutassero in risultati elettorali, più della metà degli attuali componenti delle Camere non rivedrebbe il proprio seggio.
Alessandro Martegani