Questa è una storia come tante altre, con protagonista un ragazzo afghano di 22 anni che, dopo l'arrivo in Italia a fine agosto 2021, ha tentato di raggiungere la Francia ma è stato trasferito e trattenuto per 32 giorni nel centro per il rimpatrio di Gradisca. Il ragazzo faceva parte delle persone evacuate dopo l'ingresso a Kabul dei Talebani, perché si trattava di un giovane a "rischio" dopo aver combattuto nel gruppo resistente di Massoud, nella regione del Panshir. A fine agosto è atterrato a Fiumicino ed è subito stato portato a Torino per la quarantena. Ma ha lasciato immediatamente il centro per raggiungere il fratello maggiore a Londra. Ma dopo vari tentativi di superare la Manica, a fine settembre, fermato dalla polizia locale, dopo la scoperta che le impronte erano state prese in Italia è stato trasferito in un centro di detenzione in Francia.
Da lì in poi un'odissea fatta di reclusioni e trasferimenti. Rimane nelle carceri transalpine fino agli inizi di dicembre, andando nel frattempo ad udienza per sette volte. Viene poi portato a Venezia e da lì al Cpr di Gradisca. Pochi giorni dopo il suo arrivo nel centro, il giudice di pace convalida il trattenimento. Per 26 giorni non può mai uscire ed indossa sempre gli stessi vestiti, senza nemmeno la possibilità di lavarli. Quando finalmente il ragazzo riesce a nominare il proprio avvocato, quest'ultimo chiede un'udienza al giudice per farlo rilasciare. L'8 gennaio 2021 il giovane afghano è libero dopo più di tre mesi di trattenimento, tra Francia e Italia.
Nel fascicolo presentato davanti al giudice che doveva decidere sul suo rilascio non c'è traccia di come il giovane sia arrivato in Italia né della sua storia e del suo vissuto in Afghanistan. Nessuno ha registrato che si trattasse di un richiedente asilo, già accolto in un centro, oltre al fatto che era stato evacuato da Kabul dalle stesse autorità italiane. Sarebbero bastate delle semplici verifiche per far sì che venisse accolto in un Centro di accoglienza e non destinato ad un Cpr.
Un caso assurdo che ha visto le autorità italiane notificare un foglio di espulsione ad un cittadino afghano, richiedente asilo, dopo averlo evacuato. Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati di Trieste e socio dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione ha spiegato che "non si tratta di un caso isolato e non è un errore. È una macchina amministrativa che opera in modo cieco e seriale" ed aggiunge: "ci sono 'non-luoghi', dalle frontiere ai Cpr, in cui le norme di legge che tutelano i diritti inviolabili delle persone sono totalmente disapplicate".
Davide Fifaco