Il saluto romano in sé non è un reato, a meno che non ci siano elementi che inducano a pensare che si punti alla ricostituzione del partito fascista.
La sentenza della Corte di Cassazione, che ha annullato il procedimento a carico di otto imputati per una manifestazione avvenuta a Milano nel 2016, apre di fatto alla possibilità, peraltro quasi mai perseguita anche in passato, di fare il cosiddetto saluto romano, con il braccio teso e le dita unite, nel corso di commemorazioni.
Il saluto romano (che fra l’latro non ha nulla a che fare con l’impero romano dove nessuno lo faceva) viola la legge Scelba, che vieta la ricostituzione del partito fascista e definisce queste manifestazioni un’apologia di reato, solo se “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idoneo a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
La sentenza quindi, di fatto, non fa chiarezza su uno dei temi più dibattuti in questi giorni dopo i fatti di Acca Larentia: se sia o no reato manifestare con simboli e gesti tipici del periodo fascista.
Per la Cassazione, che ha disposto un nuovo processo per gli otto imputati assolti in primo grado ma poi condannati in secondo dopo una commemorazione il saluto fascista rientra anche nel perimetro punitivo della legge Mancino solo quando “realizza un pericolo concreto per l'ordine pubblico”, come l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, parole che sembrerebbero ricomprendere ad esempio le manifestazioni fasciste negli stadi. Annullando il processo e chiedendo alla Corte di appello di Milano di verificare se dai fatti accertati, vale a dire fare il saluto romano e urlare “presente”, sia conseguita “la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”, apre all’uso di questi gesti all’interno di una commorazione. Per usare le parole della Corte, “il saluto fascista (o romano) nella sua espressione commemorativa non è reato”.
Bisognerà valutare caso per caso (quindi non cambia nulla), ma tanto è bastato per far esultare i nostalgici e anche qualche esponente politico dell’attuale maggioranza, che ha all’interno un partito, Fratelli d’Italia, che nasce proprio dalla tradizione della destra italiana. Gli avvocati della difesa hanno detto chiaramente che la Cassazione ha sancito “che il saluto romano non è reato", "se non ci sono un tentativo di ricostituzione del partito fascista o programmi di discriminazione”. Un’interpretazione che sdogana manifestazioni come quella di Acca Larentia, o anche raduni di organizzazioni che si rifanno alla tradizione fascista ma con intenti commemorativi, come le riunioni di vecchi nostalgici a Predappio sulla tomba del Duce.
La sentenza è stata accolta con "rispettoso riconoscimento" da fonti vicine al presidente del Senato Ignazio La Russa, che aveva dichiarato di attendere "con interesse" la posizione delle sezioni unite. Più esplicita l’organizzazione di estrema destra Casapound, che ha parlato di “una vittoria storica che zittisce tutti, con buona pace di chi ad ogni ‘presente’ invoca condanne e sentenze esemplari”.
Esiste però anche chi vede dei limiti nella sentenza, come i legali dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani, che ricorda come la cassazione abbia fornito “criteri fondamentali che distinguono i saluti romani come espressione individuale da quelli di carattere generale, con più persone che richiamo tutti i segni e rituali di tipo fascista e che possono essere letti come ricostituzione del partito fascista”.
Alessandro Martegani