Letizia Moratti è tornata. L’ex ministra dell’istruzione, ex sindaca di Milano ed ex presidente della Rai in epoca berlusconiana, è stata catapultata al Pirellone, la sede della regione Lombardia a Milano, per prendere il posto dell’assessore alla salute Giulio Gallera, sommerso dalle polemiche dopo la discutibile gestione della sanità e dell’epidemia in Lombardia, e alcune uscite memorabili come i ritardi nella campagna vaccinale giustificati con la necessità di ferie dei medici, o la singolare teoria secondo cui l’indice di contagio Rt a 0,5 significa che “bisogna incontrare contemporaneamente due persone infette per ammalarsi”.
Al suo posto è giunta la “lady di ferro”, Letizia Maria Brichetto Arnaboldi Moratti, manager, con una carriera politica contrassegnata dalla tendenza decisa alla privatizzazione e alla limitazione della gestione pubblica in tutti i settori strategici. Arriva in regione con un nemmeno troppo celato disegno di prendere il controllo della giunta lombarda (è stata nominata anche vicepresidente) e magari correre per la Presidenza al posto di Attilio Fontana alle prossime elezioni.
Sembrava impossibile far rimpiangere Gallera, ma Letizia Moratti sembra quasi esserci riuscita nel giro di due settimane. Del resto anche l’ultima uscita dalla scena politica da sindaca era stata discutibile: nel 2006, nella campagna elettorale poi persa contro Giuliano Pisapia, diventato sindaco di Milano, aveva pensato di volgere la sfida a proprio vantaggio accusando l’avversario durante un confronto di essere responsabile “del furto di un furgone che sarebbe stato usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane”. Era un’affermazione falsa, che Pisapia aveva demolito pubblicando la sentenza di assoluzione per quell’episodio, avvenuta 1985, e querelando la sindaca.
Anche quasi 10 anni dopo Letizia Moratti ha fatto subito parlare di sé: prima ha richiesto di avere due staff personali occupando un intero piano del Pirellone, poi, mentre le regioni in Italia cercavano di trovare un accordo di solidarietà sulla redistribuzione dei vaccini dopo il taglio delle forniture da parte della Pfizer, la neo assessora ha scritto al Commissario Arcuri proponendo una distribuzione in base al Pil e al grado di sviluppo economico delle regioni, un principio che naturalmente premierebbe proprio la Lombardia.
Se un altro Governatore di centro destra, come Luca Zaia, per risolvere il problema si è detto disposto a metter mano ai fondi regionali per acquistare i vaccini e ad aprire stabilimenti di produzione in Veneto, l’idea di Letizia Moratti è stata invece quella di proporre un’attribuzione di diritto di un maggior numero di vaccini per la sua regione, perché, dice, la Lombardia produce di più, ed essendo il cuore economico del paese non può permettersi ritardi nella ripartenza. Chi produce di più merita più vaccini perché così si crea meno danno al paese: un ragionamento che, se forse dal punto di vista esclusivamente contabile può reggere, contrasta però con ogni principio di equità fra i cittadini, e con il diritto alla salute sancito dalla Costituzione italiana.
Sulla neo assessora sono piovute immediate reazioni e critiche: fra le altre, quelle di alcuni presidenti di regione e del governo. “Mi cadono le braccia”, ha commentato sconsolato il sindaco di Milano, Beppe Sala; sono affermazioni “a un passo dalla barbarie”, ha aggiunto il presidente della Campania Vincenzo De Luca; “la salute è un bene pubblico fondamentale garantito dalla Costituzione, non un privilegio di chi ha di più”, ha concluso il ministro della Sanità Roberto Speranza.
Un mare di critiche che ha costretto l’ex sindaca fare marcia indietro e affermare che il rapporto con il Pil non si riferiva alla campagna vaccinale, ma alla zona rossa, già contestata dalla regione Lombardia, nonostante ci sia anche una registrazione audio che confermerebbe la richiesta di un maggior numero di vaccini. In uno di suoi primi e contestati interventi in Consiglio regionale Letizia Moratti ha assicurato di non aver “mai pensato di declinare vaccini e reddito”, ma ha confermato di ritenere che il quadro normativo anti-Covid, compresa l’assegnazione delle zone, debba tenere conto della ricchezza prodotta.
Quella della neo assessora, e probabile candidata del centro destra alla guida della Lombardia, è del resto una linea già espressa in passato, che strizza l’occhio a chi produce ricchezza anche a costo di sacrificare l’equità, ma ora ci si chiede che impatto possa avere sul futuro di una regione in cui parte della macchina sanitaria è già in mano ai privati, con risultati valutati in maniera opposta dalle forze politiche, e che si appresta a riformare la legge sulla sanità.
Alessandro Martegani