Non solo l'inchiesta Prisma, non solo la Juventus. Il terremoto giudiziario sulle presunte plusvalenze false nel calcio italiano si allarga e vede coinvolte da ieri anche altre tre società della Serie A: si tratta di Roma, Lazio e Salernitana. Nel giorno in cui alla UEFA veniva ri-eletto presidente Aleksander Ceferin e il capo della Federcalcio italiana, Gabriele Gravina, eletto suo vice, in una sorta di contrappasso la Finanza entrava nelle sedi di altre società per verificare eventuali illegalità nella gestione dei conti. Mentre le indagini sui giallorossi rientrano nel filone Juve, nel caso del senatore di Forza Italia Claudio Lotito gli inquirenti vogliono vederci chiaro sul periodo in cui era proprietario di entrambi i club.
Più in generale si respira un clima di depressione cosmica in Serie A. Qualcosa di non evidente ma comunque percepibile, una cattiva sensazione che ha fatto dire a qualche esperto osservatore che, di questo passo, nel giro di un decennio nessuno seguirà più lo sport che, secondo molti, rimane ancora il più amato dagli italiani. Le vicende giudiziarie restituiscono l'idea di un campionato ormai in decomposizione. Il più grande club del paese è alle prese con la giustizia sportiva per la seconda volta in vent'anni. L'Inter è in un momento di transizione societaria che, secondo il Financial Times, va avanti da ottobre scorso. Nel frattempo gli investimenti sembrano finiti. E sul campo le due contendenti storiche hanno dato vita a uno spettacolo indecoroso nella semifinale di coppa Italia, fra insulti razzisti e risse che hanno restituito una pessima immagine a un torneo e a un paese che si è messo in vetrina per ospitare i campionati europei del 2032. Un modo per rilanciare il sistema calcio, e anche un volano per rinnovare infrastrutture rimaste indietro di 20 e più anni. Ma le pastoie burocratiche si frappongono a una normale pianificazione, con il paradosso tutto italiano di Firenze, dove sono stati prima bloccati investimenti privati e poi quelli pubblici richiesti tramite il Pnrr, prima che Bruxelles dicesse no.
Valerio Fabbri