Settanta anni fa, il 27 luglio del 1953, nel piccolo villaggio di Panmunjeom sul 38° parallelo veniva firmato l'armistizio che poneva fine a tre anni di guerra tra Corea del Nord e Corea del Sud. Un conflitto feroce che vide la partecipazione di 42 paesi sui due fronti e che fu il primo vero confronto della guerra fredda tra blocco comunista e nazioni democratiche.
Le celebrazioni di questi giorni hanno avuto un sapore di ritorno al passato, e hanno visto la partecipazione di una delegazione del Cremlino, guidata dal ministro della Difesa russo, Serghej Shojgu, e di una delegazione di Pechino, capitanata dal funzionario del politburo cinese Li Hongzhong. I resoconti dei media sono tutti affidati all'agenzia di Stato nordcoreana, che ha parlato di "colloqui amichevoli" con Shoigu, in nome della profonda amicizia fra i due paesi. Kim e Shoigu, infatti, hanno discusso "questioni di reciproco interesse nel campo della difesa nell'ambito della sicurezza regionale, nazionale e internazionale", in un'ottica "di giustizia e pace internazionale" di fronte alla "prepotenza e all'arbitrarietà degli imperialisti". Toni che sanno di guerra fredda, anche se sono da leggere più in un'ottica di politica interna. Kim ha poi mostrato a Shoigu le ultime conquiste del Paese in termini di armamenti, dopo che aveva comunque anticipato le celebrazioni con il lancio di due missili balistici verso il Mare Orientale, noto anche come Mar del Giappone, il 25 luglio. Fra le armi in bella mostra figurava anche il missile balistico intercontinentale (ICBM) Hwasong, testato con successo lo scorso Aprile. Più defilata la presenza di Pechino, che pure nel 1950 inviò truppe a sostegno dell'alleato nordcoreano, senza però mai nutrirsi del forte sentimento anitamericano che caratterizza il rapporto speciale di Mosca e Pyongyang, un legame rafforzato anche ora dalla reciproca avversione per gli Stati Uniti.
Valerio Fabbri