È l’Aeroporto di Kabul a rimanere al centro dell’attenzione dopo l’arrivo dei Talebani nella Capitale afghana.
Nonostante le rassicurazioni dei Talebani, che dicono di volere il dialogo e di voler rispettare i diritti delle donne e l'accesso all'istruzione, migliaia di persone hanno deciso di lasciare la città, personale delle ambasciate, militari, operatori stranieri, ma anche migliaia di afghani che si sono diretti in macchina verso il Pakistan o si sono assiepati all’aeroporto nella disperata ricerca di un volo per lasciare il paese.
Le scene della folla che cerca di prendere d’assalto i voli, attaccandosi anche all’esterno degli aerei in fase di decollo, con esiti anche tragici, hanno già fatto il giro del mondo, e il caos dell’aeroporto sta anche rallentando le operazioni per l’evacuazione degli stranieri e dei collaboratori afghani che, a vario titolo, lavoravano con le forze militari e le ambasciate occidentali. Molti di loro, la maggior parte probabilmente, rimarranno intrappolati nel paese rischiando la prigione, se non la morte.
Una ventina di collaboratori del governo italiano sono arrivati a Roma con un volo che ha riportato in Italia militari, personale diplomatico e delle organizzazioni che operavano in Afghanistan, e non hanno nascosto tutta la preoccupazione per chi è rimasto, che potrebbe essere considerato un collaborazionista dai Talebani, e anche la rabbia per le tante promesse di democrazia e pace andate deluse a 20 anni dall’arrivo della Nato nel paese.
Il ministro della difesa italiano Lorenzo Guerini ha assicurato che nei prossimi giorni altri voli riporteranno in Italia i connazionali rimasti nel Paese, e anche gli altri afghani, ma la situazione non consente di fare previsioni. L’aeroporto è nel caos, e anche chi è appena tornato conferma che sono già iniziati gli arresti e i rastrellamenti da parte dei talebani, che ufficialmente continuano ad assicurare la volontà di dialogo e di rispettare i diritti umani. L’impressione però è che si stia andando verso un ritorno alla radicalizzazione del paese, e a una rappresaglia verso chi ha collaborato con le organizzazioni straniere o con il governo caduto.
Rimane da vedere l’atteggiamento del nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan verso le organizzazioni umanitarie, come la Croce Rossa internazionale o Emergency, che hanno deciso di continuare ad operare nel paese.
L’Afghanistan intanto è ormai sotto il controllo dei Talebani: le forze dell’esercito fondamentalista hanno preso anche la capitale Kabul. Sul pennone del palazzo presidenziale sventola la bandiera bianca dei Talebani che hanno anche già proclamato la rinascita dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, riportando il paese indietro di 20 anni.
La situazione nella capitale era precipitata nel giro di poche ore: prima i talebani avevano fatto capire di voler avviare delle trattative, ma poi sono entrati in massa a Kabul, mentre il presidente Ashraf Ghani lasciava il paese per una destinazione ignota.
Attualmente la situazione a Kabul è tranquilla, ma nessuno si fida delle promesse dei Talebani: la maggior parte degli afghani resta a casa, senza informazioni: quasi tutte le emittanti radio e tv non trasmettono, l'informazione è affidata ai social, e anche il cibo inizia a scarseggiare.
Alcune ambasciate sono state trasferite direttamente nello scalo per gestire i trasporti, mentre l'esercito Usa ha garantito di aver "messo in sicurezza" l'aeroporto di Kabul, e che "l'evacuazione sicura di tutto il personale dell'ambasciata è stata completata". L'agenzia di stampa afghana Tolo News ha però riferito che "alcune persone sono state uccise e altre ferite nella sparatoria e nella calca all'aeroporto di Kabul".
Uno scenario che non può non riportare alla mente quello di Saigon nel 1975, con un numero di persone da evacuare e di militari inferiore, ma con una difficoltà in più, a causa della posizione del paese, lontano dal mare.
Alessandro Martegani