In questi giorni sta facendo discutere l’iniziativa della casa editrice britannica Puffin che, in accordo con la società Roald Dahl Story Company, ha deciso di ripubblicare i libri del famoso scrittore per bambini, mettendo mano al linguaggio utilizzato dall’autore in alcuni dei suoi romanzi, con lo scopo di eliminare tutte le espressioni che in base alla sensibilità odierna potrebbero risultare offensive e poco inclusive.
Cancellati, quindi, i termini “grasso” o “brutto” o tutte le affermazioni considerate “sessiste” che Dahl, che scriveva qualche decennio fa, aveva utilizzato per descrivere ad esempio le sue famose “Streghe”. “Padre” e “madre” sono stati invece rimpiazzati dal termine più generico “genitore” e così via, in un certosino lavoro di riscrittura dei suoi libri (perché proprio di questo alla fine si tratta), che nelle intenzioni dei suoi promotori vorrebbe venire incontro al discorso inclusivo e rispettoso delle diversità proprio dei modelli educativi attuali.
Non si tiene conto, però, che Roald Dahl aveva scritto i suoi libri, ancora tanto amate, in un’altra epoca e che cambiare anche solo una parola significa non rispettare i diritti morali che lui dovrebbe avere, nonostante sia morto, sulla sua opera. Un diritto che viene riconosciuto in molti paesi, ma non in Gran Bretagna; e perciò la società che ha acquisito i diritti dalla famiglia di Dahl, di proprietà della piattaforma digitale Netflix, può anche decidere di intervenire sul testo senza che nessuno possa opporsi.
Contro questa iniziativa si è immediatamente mossa una delle associazioni più attive per quanto riguarda la difesa della libertà d’espressione, l’associazione degli scrittori PEN, che ha espresso immediatamente preoccupazione per un’iniziativa di questo tipo che rischia di degenerare. “Si comincia con cambiare una parola qui e lì”, ha dichiarato una dei suoi responsabili Suzanne Nattel, “e si finisce per inserire idee completamente nuove e prima assenti”. Cosa che d’altronde è accaduta già in questo caso visto che nel romanzo di Dahl “Le streghe”, ora compaiono considerazioni buoniste sull’usanza delle donne di utilizzare la parrucca, cosa che l’autore non aveva mai espresso.
Barbara Costamagna