"La libertà di parola è il fondamento della democrazia e uno pseudo-giudice non eletto in Brasile la sta distruggendo per scopi politici". È stata questa la reazione del CEO di X, Elon Musk, alla decisione del giudice della Corte Suprema Federale del Brasile, Alexandre de Moraes, di sospendere le attività del social network in tutto il paese.
Alla base della decisione, la mancata nomina da parte della società di un rappresentante legale nel paese. Lo scorso 17 agosto X aveva annunciato la chiusura della sede in Brasile, dopo che lo stesso Moraes aveva ordinato l'arresto della rappresentante della piattaforma nel paese se non avesse rispettato gli ordini di chiudere una serie di profili. Moraes aveva recentemente aperto un'indagine su Musk per una serie di reati, compreso quello di "intralcio alla giustizia" e stabilito per X una multa di circa 18mila euro al giorno per ogni profilo rimasto aperto.
Il giudice ha ora ordinato la convocazione dell'Agenzia nazionale delle telecomunicazioni e delle società che forniscono servizi Internet nel Paese per procedere alla sospensione, e da mezzanotte molti utenti non riescono più ad accedere alla piattaforma: chiunque cercasse di aggirare il blocco, rischierebbe una multa che potrebbe arrivare a ottomila dollari.
Una decisione che è stata aspramente criticata dal Elon Musk: "Il regime oppressivo in Brasile – ha scritto su X - teme così tanto che la gente conosca la verità da mandare in bancarotta chiunque provi a farlo. Gli attacchi alla libertà di parola quest'anno non hanno precedenti nel ventunesimo secolo. Succederà anche in America – ha aggiunto riferendosi alle prossime elezioni presidenziali negli stati Uniti - se Kamala e Walz andranno al potere".
La battaglia, oltre che amministrativa è però anche politica: fra un mese in Brasile ci saranno le elezioni municipali, che riproporranno lo scontro fra il presidente in carica Luiz Inacio Lula da Silva e l'ex leader di destra Jair Bolsonaro, su cui lo stesso Moraes aveva aperto delle inchieste in passato.
Dall’altra parte dell’oceano, intanto, continua l’inchiesta su Pavel Durov, creatore e amministratore delegato di Telegram, arrestato a Parigi e poi rilasciato su cauzione senza possibilità di lasciare la Francia.
Contro Durov sono state mosse molte accuse come la mancata moderazione dei contenuti sulla sua app di messaggistica e la mancata collaborazione con le autorità nel corso di svariate operazioni per debellare la condivisione illegale di contenuti sulla piattaforma, utilizzata spesso come strumento di contatto per attività criminali.
In totale Durov, che si è sempre rifiutato di collaborare con le autorità occidentali per il controllo delle informazioni sulla piattaforma, è accusato di dodici reati gravi, fra cui anche il possesso e la vendita di droghe, la frode organizzata, e il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali.
Secondo il New York Times, l’inchiesta rischia di avere ripercussioni anche sull’esercito russo impegnato in Ucraina: l’applicazione sarebbe utilizzata dalle forze russe in Ucraina per il trasferimento in tempo reale di dati e immagini, e un blocco o un controllo di Telegram rederebbe difficoltoso per i russi (che utilizzerebbero ancora tecnologie ereditate dall’Unione sovietica e inadatte alle nuove tecniche di guerra) comunicare senza essere intercettati dai militari di Kiev.
Il Cremlino ha già definito l’arresto di Durov come un possibile caso politico, definendo l’arresto un tentativo di limitare la libertà di comunicazione, anche in vista delle elezioni presidenziali americane.
Alessandro Martegani