Il presidente kazako, Tokayev, ha sciolto il governo. L'esecutivo sarà guidato ad interim dal vicepremier, Smailov, fino alla formazione del nuovo governo. Le proteste senza precedenti nel Paese hanno portato all'arresto di almeno 200 persone mentre un centinaio di agenti sono rimasti feriti. Il presidente Tokayev ha dichiarato lo stato di emergenza e in un tweet ha precisato che le autorità ripristineranno i prezzi dei carburanti "al fine di garantire la stabilità nel paese". Già nel 2011, la città di Zhanaozen è stata teatro di gravi disordini, con almeno 14 lavoratori del settore petrolifero rimasti uccisi. Le nuove proteste rappresentano soprattutto la spia di una polarizzazione sociale sempre più endemica, causata da crescenti disparità fra le enormi ricchezze accumulate al vertice e le disponibilità concrete della popolazione. Se le proteste si intensificassero, la situazione nel Paese potrebbe prendere risvolti già visti in altri contesti. In Kazakistan risiede un enorme numero di russi e russofoni e si sa come è finita la situazione in Ucraina, partita con richieste economiche, ma molto presto trasformatasi in uno scontro interetnico. La Russia dal canto suo ha già fatto sapere che auspica un celere ritorno alla normalità nel Paese, infatti, un secondo fronte dopo quello ucraino in questo momento sarebbe controproducente. Soprattutto andrebbe ad intaccare i buoni rapporti instaurati con la Cina. Il Kazakistan, incardinato fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, rappresenta un'articolazione fondamentale nella definizione del rapporto fra Mosca e Pechino. Per entrambe il paese gioca un ruolo geopolitico di primo piano. Per la prima costituisce la via d'accesso all'Asia centrale e per la seconda un altrettanto determinante nuova via della seta.
Corrado Cimador