
Identità sessuale, identità razziale, LGBT, transgender, ma anche antirazzista, barriera, pregiudizio, discriminazione, immigrati, vittima, e perfino crisi climatica, femminismo, Golfo del Messico e inquinamento.
Sono solo alcuni termini della lunga lista pubblicata dal New York Times, di cui l’amministrazione guidata da Donald Trump, in una sorta di contro rivoluzione, ha vietato o sconsigliato l’uso in tutti i documenti e siti internet governativi.
L’insofferenza di Trump per quella che viene chiamata “cultura woke”, particolarmente attenta al politically correct e all’uso di termini inclusivi e non discriminatori, era nota, e, come da previsioni, a stretto giro di posta il presidente degli Stati Uniti ha dato il via a un’operazione analoga a quella messa in atto, sia pur in altri temini, qualche anno fa dalle istituzioni europee, che avevano raccomandato l’uso di termini più inclusivi e non discriminatori. Le “linee guida per la comunicazione inclusiva”, erano state diffuse da Bruxelles nel 2019 per “garantire la parità di rappresentanza tra donne e uomini” e una “efficace sensibilizzazione e impegno per mettere le donne e gli uomini sullo stesso piano”.
Il meccanismo però era sostanzialmente diverso: se Bruxelles aveva consigliato l’uso di altri termini nel futuro, negli Stati uniti l’amministrazione Trump ha invitato le agenzie a limitare o evitare centinaia di parole, applicando il principio enunciato nel suo discorso al Parlamento: “Il nostro Paese non sarà più woke”.
Si parte con la negazione di qualsiasi termine che si riferisca alle persone transgender (non coerenti con la posizione dell'attuale governo federale secondo cui, riporta il New York Times, esistono solo due sessi immutabili), ma la lista si allarga anche a concetti come il cambiamento climatico, l’immigrazione, l’inquinamento o il femminismo. L’attenzione alla diversità, all’equità e all’inclusione per Trump contrasta con la meritocrazia, e va quindi eliminata anche dalla terminologia ufficiale.
In alcuni casi le parole incriminate sono state già rimosse dai siti web pubblici e dai materiali educativi e, secondo un'analisi del New York Times, oltre 250 pagine web federali hanno subito modifiche; in altri casi i dirigenti delle agenzie federali hanno consigliato cautela nell'uso di tali termini senza imporne un divieto esplicito.
Il Times nell’ultimo mese ha rilevato cambiamenti su più di 5.000 pagine, ma si tratta, a detta dello stesso giornale, di un numero sottostimato, e frutto di un’operazione che per Trump rappresenta una reazione a quella che ha definito “una campagna di pressione da parte dell’amministrazione Biden per soffocare i diritti del Primo Emendamento”. Il timore però è che l’amministrazione voglia limitare il dibattito nazionale su determinati argomenti, e non soltanto all’interno delle agenzie governative. Il fenomeno riguarda ad esempio anche il cinema, con iniziative che coinvolgono di attori del calibro di Mel Gibson, Sylvester Stallone, and John Voight, indicati da Trump come i propri ambasciatori Hollywood per contrastare la cultura woke a Hollywood.
Alessandro Martegani