Il processo contro Paul Manafort deriva dal caso Russiagate. Otto i capi di imputazione di frode fiscale e bancaria, per aver occultato i pagamenti per il suo lavoro di lobbista - non registrato - in Ucraina e per aver gonfiato il valore dei suoi asset nelle richieste di prestiti.
Il sessantanovenne è giunto in tribunale sulla sedia a rotelle, con l'uniforme dei detenuti. Rischiava dai 19 ai 24 anni di carcere; aveva chiesto clemenza, ma il giudice - nonostante avesse ritenuto la condanna esagerata - inizialmente non era sembrato incline a concederla, dato che non si era pentito né si era assunto la responsabilità dei reati commessi. Manafort ha comunque ringraziato il giudice per un "giusto processo" ed ha ammesso di trovarsi in questa situazione a causa delle azioni che lui stesso ha compiuto. È in carcere dallo scorso giugno, i mesi già trascorsi in prigione gli verranno scalati dalla condanna a 3 anni e 11 mesi, la piu' alta inflitta fino ad oggi nei processi legati al Russigate, è però addirittura più bassa rispetto a quanto speravano i legali di Manafort. Inoltre, l'ex manager della campagna elettorale di Trump dovrà restituire circa 24 milioni di dollari e pagare una multa da 50 mila. Una volta uscito dal carcere dovrà anche rimanere in libertà vigilata per tre anni.
Verso la metà del mese è prevista un'altra sentenza nei confronti di Manafort, per un procedimento penale distinto, dove si è dichiarato colpevole di cospirazione contro gli Stati Uniti e ostruzione della giustizia. Rischia una seconda condanna fino a 10 anni.
Intanto i guai per il presidente statunitense non sono ancora finiti. Il suo ex avvocato, Michael Cohen, ha presentato ricorso contro l'Organizzazione di Trump per aver violato l'accordo sul rimborso delle spese legali, pari a 1,9 milioni di dollari.
E. P.