Quasi il 90 per cento dei link diffusi dai pirati informatici viaggiano su WhatsApp. L’app di messaggi più utilizzata, che ha cambiato di fatto il modo di comunicare nel mondo, secondo gli esperti di Kaspersky Internet Security for Android, una delle società di sicurezza informatica più famose, è anche la più sfruttata per la sottrazione di dati o reati informatici.
In generale tutte le app di messaggistica sono utilizzate per diffondere link malevoli, ma WhatsApp è di gran lunga la preferita rispetto ad altre applicazione come Telegram o Viber. Ogni giorno si registrano quasi 500 casi di “phishing”, la sottrazione di informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso: solitamente i pirati informatici inviano un link che porta a un finto sito di un ente affidabile, invitando a inserire i propri dati.
A volte l’inganno è evidente, ma spesso si tratta di siti che riproducono anche molto fedelmente quelli di soggetti reali, come istituti postali, bancari oppure enti e organizzazioni.
Le app di messaggistica, che nel 2020 hanno superato i social network del 20 per cento in termini di popolarità tra gli utenti, e hanno raggiunto i 2,7 miliardi di utenti, un dato che entro il 2023 dovrebbe crescere fino a raggiungere i 3,1 miliardi, si prestano perfettamente a questo tipo di attività illegali, che vanno contrastate con le tecnologie anti-phishing ma soprattutto con una corretta educazione informatica degli utenti, ormai pari al 40 per cento della popolazione mondiale.
Come se non bastassero le attività dei pirati informatici, nelle ultime settimane WhatsApp è finito al centro dell’attenzione anche per la denuncia dell’Organizzazione europea dei consumatori, che accusa i gestori dell’app di sottoporre gli utenti a “pressioni indebite affinché accettino i nuovi termini di utilizzo e la politica sulla privacy, ma – aggiunge l’organizzazione - questi termini restano vaghi, non sono né trasparenti né comprensibili per gli utenti”.
La notifiche “persistenti, ricorrenti e invadenti”, continua l’Organizzazione europea dei consumatori, che spingono gli utenti ad accettare gli aggiornamenti dei termini di utilizzo anche se “è praticamente impossibile per i consumatori avere una chiara comprensione delle conseguenze che i cambiamenti di WhatsApp comportano in relazione al trasferimento dei loro dati personali a Facebook e ad altre terze parti”.
Alessandro Martegani