Foto: Reuters
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Venerdì la Camera dei Deputati degli Stati Uniti ha rieletto come speaker il Repubblicano Mike Johnson con 218 voti, il minimo necessario, dopo giorni in cui la sua riconferma era stata messa in dubbio a causa di dissidi interni al Partito Repubblicano.
A novembre Johnson era stato confermato dal partito come candidato speaker per un altro mandato, ma poche settimane dopo le sue possibilità di rielezione erano state messe seriamente in dubbio. A metà dicembre, infatti, alcuni deputati Repubblicani si erano accordati con i Democratici per far approvare un piano sulla spesa pubblica di fine anno per evitare il cosiddetto shutdown, la parziale chiusura delle attività del governo federale statunitense. Poco prima del voto però Donald Trump si era opposto, incalzato anche dall'imprenditore e stretto collaboratore Elon Musk, che aveva fortemente criticato il piano.
Trump ne aveva proposto uno nuovo con l'intermediazione di Johnson, ma nonostante la maggioranza repubblicana il piano era stato bocciato. A quel punto, tutti erano scontenti, finendo poi per approvare un terzo piano dopo giorni di intensi negoziati. Su queste basi non ha sorpreso quindi l'appello esplicito di Trump di votare a favore di Johnson, incontrando però resistenze che si sono dissolte solo di fronte alla possibilità che sfumasse la presidenza della Camera.
I problemi interni al partito sono solo l'inizio. Donald Trump, infatti, rischia di insediarsi alla Casa Bianca come primo presidente 'felon', ovvero criminale. Per il 10 gennaio, infatti, il giudice del caso pornostar ha deciso che per il tycoon deve essere emessa la sentenza, dopo che in maggio una giuria lo ha ritenuto colpevole di tutti i 34 capi di imputazione. Il tutto vissuto sempre con il rischio che qualche lupo solitario o una scheggia impazzita decida di emulare il terrorista di New Orleans e ricorrere a gesti estremi.
Paradossalmente, a offrirgli una sponda di continuità d'azione è il presidente uscente, Joe Biden, che in questi ultimi giorni ha dapprima bloccato l'acquisto della terza azienda siderurgica del paese, la U.S. Steel, da parte della giapponese Nippon Steel per 15 miliardi di dollari. E poi ha siglato un accordo di forniture militari a Israele per un valore superiore agli 8 miliardi di euro. Mosse molto trumpiane che fanno presagire quantomeno una certa continuità.

Valerio Fabbri