Il comportamento del Presidente del Consiglio nei confronti miei e del capo ad interim della polizia, Boštjan Lindav, è stata un'ingerenza politica indebita perché non si trattava di dare un indirizzo politico, ma piuttosto di fare pulizia di alcune nomine. A dirlo è stata la dimissionaria ministra dell'Interno, Tatjana Bobnar, intervenuta al telegiornale della sera sulla televisione pubblica da Bruxelles, dove era impegnata nel consiglio europeo che ha approvato l'allargamento dell'area Schengen alla Croazia.
E se nella capitale della politica europea tutto filava come era preventivabile, nella capitale slovena l'atmosfera politica era già pesante dopo una seconda, intensa giornata di accuse traingolate Bobnar-Golob-Lindav. A offrire la sponda al premier è stata dapprima la ministra della Giustizia, che ha voluto definire un perimetro ampio di competenze e funzioni politico-giuridche del primo ministro in base alla costituzione. Poi è arrivata una lettera dai vertici della polizia, indirizzata a Bobnar, ma come reale destinatario Golob e subito rilanciata dal suo gabinetto, dove è scritto in modo esplicito che da giugno non vi è stata alcuna ingerenza politica. Ma la firma non era di Lindav, svuotandolo quindi del peso "politico". C'è stato però tempo per i media di scandagliare il documento reso pubblico da Lindav, quello sì pesante, ricostruendo così i tentativi malriusciti del gabinetto del premier non solo di indicare alcuni cambi dirigenziali, ma anche di creare un apparato della sicurezza del premier che non rispondesse direttamente alla polizia.
Una matassa complessa che ha destato preoccupazione anche nella società civile, con l'organizzazione non governativa "Rete per la difesa della democrazia" che ha paragonato la mancata nomina del capo della polizia a quella mancata del procuratore delegato europeo durante il governo Janša. E per questo dall'Ong hanno rivolto un appello alla trasparenza, chiedendo chiarezza sulle ragioni della bocciatura di Lindav.
Valerio Fabbri