Nessun politico sloveno ha mai avuto un’arte retorica simile alla sua. Ivo Hvalica ha caratterizzato gli inizi del parlamentarismo nazionale dopo la caduta del comunismo. È stato tra gli artefici del successo di quelli che oggi sono i Democratici e che allora si chiamavano Socialdemocratici: il partito di Jože Pučnik e di Janez Janša. Un partitino, che anche grazie alle sue infuocate filippiche ed alle sue puntigliose e ficcanti repliche divenne il principale accusatore dell’establishment politico sloveno e crebbe nel consenso popolare. Su di lui piovvero una serie di denunce e qualche volta fu anche costretto a pagare indennizzi ed a rimangiarsi quanto detto in aula.
Tra le sue epiche diatribe anche quelle con Roberto Battelli, deputato della comunità nazionale italiana, sul suo diritto di fare da ago della bilancia per riconferma del demoliberale Janez Drnovšek a capo del governo nel 1997.
Un uomo di frontiera, nato a Canale d’Isonzo nel 1936, che nella compassata politica slovena ha portato per due mandati, modi e costumi tipici della politica italiana, ostruzionismo compreso. Nel 1995 parlò ininterrottamente in aula per quattro ore per bloccare l’approvazione della nuova legge sulla privatizzazione delle case da gioco. Un record, che non potrà essere mai superato, visto che oggi il Regolamento di procedura della Camera limita interventi e repliche.
Nel 1998 dopo una serie di interventi dedicati ad una ringhiera in ferro battuto che da una caserma si sarebbe trasferita intorno alla casa dell’ex ministro della difesa Jelko Kacin, quest’ultimo gli rifilò una giornalata in testa. Hvalica si presentò in aula il giorno seguente con un caschetto da ciclista in testa.
Nel 2000 non si candidò più e un anno più tardi abbandonò il partito di Janša, quando al congresso dei Democratici, quest'ultimo invitò a non eleggerlo nel direttivo. Hvalica resta una delle figure iconiche della politica slovena, il prototipo del battagliero deputato d’opposizione in grado di mettere in difficoltà il governo e di rendere divertenti quelle che oggi non sono altro che sonnecchiose sedute della camera.
Stefano Lusa