Dušan Šinigoj, presidente del governo della repubblica socialista di Slovenia dal 1984 e il 1990 ha raccontato, in una lunga intervista concessa a Ervin Hladnik Milharčič e Miran Lesjak, interessanti particolari sulla vita politica nell'allora Slovenia socialista. Tra gli argomenti affrontari anche quello dei finaziamenti alle minoranze slovene all'estero.
Un periodo quello di Šinigoj in cui la Jugolsavia era oramai un paese in bancarotta, dove si stava consolidando il ruolo politico e filoserbo dell’Armata popolare e dove si andava affermando sempre di più la consapevolezza che il processo di dissoluzione del paese era oramai irreversibile. In quegli anni in tutta la federazione si era scatenata una vera e propria caccia alla valuta straniera, che vide coinvolto il governo sloveno che non ebbe remore a collaborare con la chiesa. All’epoca- racconta Šinigoj- i prelati chiesero di vendere un grosso quantitativo di valuta alle nostre banche. Noi del governo avevamo bisogno di quel denaro, ad esempio per supportare la minoranza slovena in Italia e in Carinzia. La valuta così venne venduta alla Ljubljanska banka e poi venne illegalmente portata in Svizzera, dove un “faccendiere” di fiducia si occupò, in un secondo tempo, di consegnarla anche alle organizzazioni minoritarie in Italia e Carinzia. Sull’uso dei fondi i controlli erano serrati. L’interesse era quello di consolidare le attività economiche della minoranza con la creazione delle piccole imprese, in parole povere di supportare la cosiddetta base economica minoritaria. Importante per Šinigoj anche che la TKB, la banca di credito controllata dagli sloveni a Trieste, fosse forte per consentire il consolidamento economico della minoranza.
Dionizij Botter