Naufraga il tentativo della coalizione di dare competenze specifiche in questo campo alle forze dell’ordine. Le modifiche alla Legge sulla quiete pubblica sono state bocciate con 43 voti a favore e 44 contrari. Ad opporsi al provvedimento anche Ivan Hreščak e Branko Simonovič del partito dei pensionati, che hanno fatto propendere l’ago della bilancia verso l’opposizione. Per la cronaca il deputato della comunità nazionale italiana Felice Žiža si è astenuto, il suo collega ungherese Ferenc Horvàth, invece ha votato a favore.
Il provvedimento era stato annunciato in concomitanza con il duro confronto andato in scena, sulle pendici del Tricorno, tra Tea Jarc, organizzatrice delle manifestazioni antigovernative del venerdì ed il premier Janez Janša. In quel periodo, però, anche i deputati, appena usciti dal parlamento, erano stati presi pesantemente di mira, tanto che al loro indirizzo non erano volate solo ingiurie, ma anche sputi. Da più parti nel centrodestra si chiedeva più sicurezza ed a quel punto si è pensato di emendare la Legge sulla quiete pubblica, inserendo una norma che prevedeva pesanti sanzioni per chi offendeva i funzionari pubblici e quindi anche i politici.
L'opposizione aveva immediatamente evocato lo spettro dell’articolo 133 del Codice penale jugoslavo, quello che al tempo del regime puniva il reato d’opinione. Per il centrosinistra una simile normativa andava a ledere la libertà di parola, ma una delle considerazioni era anche quella che era inopportuno tutelare la classe politica più che gli altri cittadini. La coalizione di governo, per salvare il provvedimento, ha reagito estendendo la norma a tutti, ma dall’opposizione si è continuato a dire che simili misure servivano soltanto a tutelare leadership politica, visto che sarebbe stato improbabile che i poliziotti comminassero multe a semplici cittadini che stavano litigando, mentre sarebbe stato alquanto probabile che ciò accadesse quando critiche ed offese sarebbero state indirizzate ai politici di primo piano.
Stefano Lusa