Padre Marko Ivan Rupnik, il gesuita sloveno accusato di violenza e abusi psicologici delle suore della Comunità Loyola di Lubiana, torna al centro della cronaca, dopo la denuncia di violenze mossa nei suoi confronti da una donna che per alcuni anni ha lavorato al Centro Aletti, quando era diretto da padre Rupnik ed è dovuta «fuggire» per sottrarsi alle forti pressioni subite.
Un'accusa che per ora non ha trovato ascolto all'interno dell'ordine del quale il prete continua a fare parte, ma che è stata ripresa dalla stampa cattolica americana e italiana, che hanno puntato il dito sugli appoggi di cui sembra godere Rupnik, tanto che nonostante la gravità dei crimini imputatogli in passato ossia la violenza su una decine di suore negli anni Novanta a Lubiana, il dicastero del Vaticano per la dottrina della fede ha deciso nel 2021 che i casi fossero prescritti perchè erano passati più di trenta anni. Inoltre non è ben chiaro se sia stato riaccolto o meno in seno alla chiesa, poichè i Gesuiti, dei quali fa parte, hanno confermato solo di avergli vietato di ascoltare confessioni e fare da guida spirituale; confermando parzialmente una scomunica nel 2019.
Cosa stride, anche alla luce della ultima denuncia, secondo media italiani e americani, è il fatto che in situazioni simili il Vaticano non ha applicato la prescrizione e ha agito molto più duramente, mentre per il prete sloveno sembra essere stata scelta la strada del colpo di spugna nonostante si sia macchiato di uno dei "peggiori crimini" che esistano all'interno della Chiesa cattolica. Il trattamento preferenziale, probabilmente, potrebbe essere dovuto al fatto che il dicastero che si occupa di questo tipo di denunce fa capo alla congregazione di cui Rupnik fa parte e alla conoscenza che lo lega al procuratore che si è occupato del suo caso.
Nessun commento per ora anche da parte del Vaticano che fa ricadere la responsabilità sui Gesuiti, che a loro volta la imputano alle istituzioni romane; mentre Marko Ivan Rupnik, continua le sue attività all’interno della diocesi di Roma.
Barbara Costamagna