fair play Foto: EPA
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Per certi versi, lo sport ha iniziato a costruire l'Europa prima ancora che l'Europa come unità esistesse. Ormai da decenni, atleti, squadre, nazionali, tifosi e appassionati di varie nazioni sono radunati nello stesso evento, sin dai tempi in cui il nostro continente era solcato da una cortina di ferro, in un'epoca di Guerra Fredda. Non si tratta solo di competizione e di scontri, anche di carattere politico e ideologico: lo sport è stato ed è strumento di dialogo e di conoscenza. La Dinamo Tiblisi, lo Shakhtar Donetsk o lo Žalgiris Kaunas sono solo alcuni esempi di città rese note nell'Europa Occidentale da eccellenze sportive. Ancora oggi, alle competizioni continentali partecipano squadre collocate sia dentro che fuori i confini delle principali istituzioni continentali.

Basandosi su regole uniche e standardizzate, lo sport è oggi uno dei principali linguaggi universali, perché consente a tutti di esprimersi e di partecipare allo stesso evento indipendentemente da qualsiasi variabile. Diviene quindi un mezzo per affermare chiaramente che le analogie che accomunano tutti i membri della famiglia umana sono di più e più importanti delle differenze che ci dividono. Noi tutti - atleti, tifosi e appassionati - di fronte allo sport, proviamo le stesse emozioni, ci impegnamo allo stesso modo, partecipiamo allo stesso evento, indipendentemente dall'angolo del globo nel quale viviamo. Ed è cosi che lo sport oggi va interpretato e raccontato, specialmente in un mondo dove crescono intolleranza, paura e terrorismo.

Aveva 29 anni, era a Strasburgo per fare il lavoro più bello del mondo. Ha avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Di lui so solo che si chiamava come me, che faceva e voleva continuare fare il mio stesso mestiere: come me ha fatto la valigia per scoprire il mondo, mettersi alla prova e i seguire i propri sogni. Incluso quello di vivere in un mondo migliore, fatto di cooperazione, di comprensione reciproca, di diversità culturale, di libertà di espressione e di diritti umani. Ero in Francia nel 2016 per raccontare un evento sportivo di primo piano come gli Europei di calcio. Fu un'esperienza indescrivibile. Così come difficile da descrivere è stato il ritrovarsi a raccontare l'attentato di Nizza, interpretandolo con i parigini, che ancora avevano in mente gli attacchi del 13 novembre. Che non risparmiarono nemmeno lo Stade de France.

Ieri invece a causa di un malore moriva Christian Genter, padre del capitano dello Stoccarda: il fatto è avvenuto subito dopo una partita di calcio, giocata ovviamente dal figlio, senza nemmeno avere il tempo di uscire dallo stadio. Muore un uomo, muore un padre, muore un tifoso. Ennesimo esempio di come lo sport sia estremamente collegato alla vita vera, alle emozioni reali, alle circostanze della quotidianità. E' di oggi invece la notizia della scomparsa di Felice Pulici, ex portiere della Lazio e dell'Ascoli dei miracoli: con i biancocelesti vinse uno scudetto - nel 1974 - mentre con i bianconeri chiuse quarto in Serie A, a un passo dalla UEFA - nel 1980. Se Felice Pulici potesse raccontarci la sua carriera ci sembrerebbe una favola distante anni luce, se analizzata attraverso le gerarchie del calcio e dello sport contemporanei.

Le gesta delle élites dello sport sono sotto gli occhi di tutti. Ma rimangono un elemento marginale: ciò che davvero fa la differenza è la narrativa. E' il modo in cui lo sport viene vissuto dai milioni di appassionati che guardano le partite, che partecipano agli eventi, che comprano i biglietti, che tirano calci a un pallone. Che si emozionano. Che fanno volontariato, che sognano permettendo agli altri di sognare. Perché le ricche élites rappresentano una sparuta minuscola minoranza, punta di un iceberg nel quale il dilettantismo, il volontariato e l'aspetto ricreativo rivestono un ruolo fondamentale.

E' un discorso che si può estendere anche ad altri aspetti del vivere quotidiano. Perché in fondo le emozioni e la passione rappresentano quel fattore che fa sempre la differenza. Non dimentichiamocene mai, specie quando raccontiamo lo sport. In questo modo probabilmente si farà onore ad Antonio, a Christian, a Felice e a tutti quanti ancora si appassionano genuinamente a un pallone che rotola, dimenticarsi per un paio d'ore dei problemi quotidiani.

In fondo la diversità culturale, il dialogo aperto e il confronto rimangono elementi cardine del vivere quotidiano. Dentro e fuori dal campo di calcio.