Due anni fa, durante le cerimonie in occasione del centenario dell'incendio del Narodni dom di Trieste, aveva ricevuto dal presidente Sergio Mattarella e da quello sloveno Borut Pahor le più alte onorificenze dei due Paesi
Molto conosciuto e amato in Slovenia, dov'era considerato alla stregua di un nume tutelare della cultura nazionale, scoperto in Italia a partire dalla pubblicazione, nel 2008, del memoir "Necropoli" e da allora oggetto di costante attenzione, Boris Pahor, morto alla vigilia dei 109 anni che avrebbe compiuto il prossimo 26 agosto, ha incarnato in maniera esemplare la figura dell'intellettuale che ha fatto dell'impegno il centro del suo operare e la finalità della sua scrittura. Citando le sue stesse parole, scrivere per testimoniare. E lui di eventi tragici ne aveva attraversati tanti, i più grandi del secolo. La prima e la seconda guerra mondiale, le persecuzioni squadriste e fasciste nei confronti della minoranza a cui apparteneva, quella slovena, a cominciare dall'incendio, a Trieste, del Narodni dom (lo scrittore aveva sette anni, quando accadde, nel 1920), l'inferno dei lager nazisti, che ha vissuto sulla sua pelle come deportato politico, infine la repressione comunista all'epoca della Jugoslavia di Tito. Esperienze che ha narrato nei suoi molti libri. Insieme a "Necropoli", ritenuto il suo capolavoro, "Il rogo nel porto", "Una primavera difficile", "Qui è proibito parlare" sono alcuni dei suoi titoli più significativi, tradotti in decine di lingue.