Come non ricordare i due celebri versi di Mattina, la poesia scritta nelle trincee del Carso, ''m'illumino / d'immenso''. Giuseppe Ungaretti, nato nel 1888 da genitori lucchesi ad Alessandria d'Egitto e morto il 1 giugno 1970 a Milano, arrivò in Italia solo a ventiquattro anni e, quello che più conta, è che la sua formazione poetica avvenne a Parigi, dove completò gli studi laureandosi alla Sorbona. Qui incontra Marcel Proust, conosce Andre Gide, Paul Valery, intreccia un amicizia con Guillaume Apollinaire che abitava al Boulevard Saint – Germain , sopra il Cafè de Flore, dove ogni sera si riunivano artisti e intellettuali e dove entrò in contatto con le novità culturali europee. In questi anni sono con lui Ardengo Soffici e Aldo Palazzeschi. I contatti con le esperienze futuriste lo ispirano nelle prime poesie. Ma la guerra si inserisce nella vita del poeta in maniera determinante. Combatte prima sul Carso e poi sul fronte francese, e la morte che lo sfiora ogni giorno lo aiuta a stabilire con la vita un contatto nuovo. In queste tragiche circostanze scrive poesie dense di vita, con uno stile immediato, essenziale. Scrive al fronte sugli involucri delle pallottole con negli occhi i volti massacrati dei compagni, credendo fermamente nel potere salvifico della poesia. Le poesie scritte tra il 1919 e il 1935 sono raccolte nell'edizione Vita di un uomo del 1943 con il titolo Sentimento del tempo. Nel secondo dopoguerra l'aria era ormai cambiata: cultura e poesia iniziarono a confrontarsi con la storia, il quotidiano e a virare verso la prosa. Il riferimento principe diventò Eugenio Montale, che nel 1965 fu insignito del Nobel. Dopo la morte della moglie Jeanne, nel 1958, negli ultimi anni della sua vita, il poeta incontrò la brasiliana Bruna Bianco, più giovane di 52 anni. Il taccuino del vecchio del 1960 è la sua ultima raccolta. Ungaretti è stato ed è il poeta più amato dagli studenti di ieri, che lo conoscevano anche nella versione televisiva di commentatore dell'Odissea a introduzione dello sceneggiato, e di oggi per la sua capacità di parlare di sentimenti profondi, per la riscoperta della parola come segno e come suono, del suo valore evocativo e primitivo.
Miro Dellore