Il nome è di fantasia, ma quell'isola, centrale nella struttura del romanzo, esiste davvero: piccolissima, poco più di uno scoglio, di fronte a Sebenico. Il ramo paterno della famiglia istriano-dalmata di Aljoša Curavić viene da lì. Inevitabile, ieri sera, con il console Coviello seduto in prima fila e tanti estimatori e amici venuti a festeggiarlo, chiedere all'autore quanta autobiografia c'è nel suo ultimo romanzo, forse l'opera più matura e più complessa del giornalista e scrittore capodistriano, come l'ha definita Marco Apollonio, che con Curavić ha dialogato per portare allo scoperto temi e motivi del libro.
"Ritorno a Kappazero", pubblicato per le edizioni Italo Svevo, è la storia appassionante di un uomo, arrivato ormai a sessant'anni, e del rapporto conflittuale e tormentato con il padre, il racconto di due generazioni incapaci di comunicare così come di separarsi. Parte della vicenda è ambientata a New York, metropoli dal fascino straordinario che per Curavić rappresenta il simbolo stesso del viaggio. E poi c'è Trieste, città letteraria per eccellenza, ideale per creare storie. Apollonio, che è a sua volta scrittore, ha anche parlato di una dimensione biblica presente nel romanzo. Isacco è del resto il nome, simbolico e funesto, del protagonista e voce narrante del libro. Il cui senso, sì, alla fine forse è un po' questo, ha ammesso il suo autore, che i figli devono espiare le colpe dei padri.
Alla presentazione a Palazzo Gravisi - introdotta dal presidente della "Santorio" Mario Steffè - è intervenuto anche Alberto Gaffi, titolare delle edizioni Italo Svevo (storico marchio triestino da vari anni ormai passato di mano), che ha affermato di credere molto in questo romanzo, tanto da progettarne ora la traduzione in sloveno e in altre lingue ancora, opera di uno scrittore della minoranza italiana dell'Istria che è esattamente - così l'editore romano si è espresso - l'autore che cercava: non divisivo, ma un ponte di cultura e di amore.
Quell'amore, si potrebbe concludere, che Curavić ha innanzi tutto per la lingua italiana, di fatto assai poco presente a Capodistria nonostante il bilinguismo "per legge". Una lingua in cui - come ha raccontato lui stesso - ha trovato "la casa".