Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, che ha costruito il proprio successo politico proprio sulla crescita, tira dritto per la sua strada, ed ha di fatto imposto in questi mesi graduali tagli ai tassi di interesse dal 19 al 15%. Una mossa che, nelle intenzioni, dovrebbe favorire l'aumento del PIL, che quest'anno - grazie al ritorno di turisti ed esportazioni - dovrebbe segnare un robusto +9% rispetto all'anno scorso, segnato dalla pandemia e dalla recessione.
L'operazione, però, non è senza costi: il tasso di inflazione su base annua in Turchia ha toccato il 20%, portando alle stelle i costi in numerosi settori, come quello immobiliare, cresciuto quest'anno del 35%.
Al tempo stesso, i bassi tassi hanno alimentato un veloce deprezzamento della lira turca che, nel corso del 2021, ha perso circa il 40% del suo valore nei confronti di valute forti come il dollaro e l'euro.
Una situazione che ha allarmato non pochi economisti, preoccupati che la gestione dell'economia turca possa presto sfuggire di mano. Per Erdoğan, però, la linea del governo rappresenta per la Turchia una vera e propria "guerra di indipendenza economica". Per combatterla il presidente non ha esitato a licenziare lo scorso ottobre ben due governatori della banca centrale turca, istituzione ormai priva di qualsiasi indipendenza nei riguardi dell'esecutivo.
Francesco Martino