Presso la sala Luttazzi del Magazzino 26 di Porto Vecchio a Trieste si è tenuta la quarta edizione del convegno "Sport, bullismo, educazione e disabilità" organizzato dall’associazione Dis-Equality.
Ideatore dell'iniziativa è Berti Bruss. Queste le sue parole sull'evento:
"La parte più bella di questa giornata è stata l'attenzione dei ragazzi verso le tematiche trattate. Questo è il quarto convegno che noi organizziamo. Ho visto varie alternanze di interesse, ma oggi devo dire di essere soddisfatto, perché ho visto partecipazione; è vero che i partecipanti sono stati scelti dai loro insegnanti perché, in virtù anche un po’ delle esperienze passate, abbiamo concordato di portare le persone non per una gita fuori porta, ma per un interesse. Sono veramente contento di questa giornata".
Per te sono sempre iniziative molto impegnative, sotto tutti gli aspetti, anche personali. Ci sarà una quinta edizione di questo convegno?
"Diciamo da un punto di vista preparare una cosa simile mi risulta abbastanza facile, perché lavoro con la famiglia, nel senso che tutti i relatori ormai li conosco da tantissimi anni. Sono entrati a far parte della mia vita e parlo di Daniele Scarpa, parlo dei medagliati olimpici; ormai sono rapporti consolidati, non sporadici, andiamo via in barca con i disabili d'estate, facciamo un lavoro continuativo; quindi, da quel punto di vista non è difficile fare queste cose.
In realtà costruire un evento diventa molto difficile per i problemi burocratici, che sono molteplici. Ed anche il discorso delle spese, visto che non abbiamo nessun supporto da parte delle istituzioni e questo mi dispiace, non tanto per quello che faccio io, ma per le persone che partecipano a queste iniziative, che sono di alta qualità. Relatori che provengono tutti da storie molto particolari, chi dal carcere, chi dalla disabilità, chi da un incidente che gli ha trasformato la vita. Tutti hanno intrapreso una strada comune, che è quella del mare, che in definitiva, mi piace ripetere spesso, proprio in virtù della sua instabilità fluida, riesce a dare quell'equilibrio che tanti di noi perdono. Non ultimo io, che grazie al mare ho ripreso contatto con la mia vita e ho avuto l'opportunità, la gioia per quanto si tratti di un lavoro molto duro, di dedicarmi proprio alla fragilità".
Si parla spesso di disabilità, di inclusione, ma alla fine le istituzioni forse sono ancora troppo poco presenti.
"Diciamo che siamo un po' indietro in Italia rispetto alle altre nazioni. C'è ancora un tabù. Basti pensare che noi abbiamo, parlando di sport, delle diverse federazioni: ad esempio c'è la Federazione di sci e quella di sci paralimpico. Stessa cosa per il canottaggio e gli altri sport. Nei paesi anglosassoni, invece, esiste una sola Federazione: la Federazione di sci della Nuova Zelanda o degli Stati Uniti. E poi ci sono le varie specializzazioni che si occupano di disabilità. Ma le federazioni sono uniche, perché l'atleta ha una identità, anche se privo di un arto o con altre problematiche. Invece noi tendiamo sempre a dividere, a creare delle divisioni. Dobbiamo pensare che in virtù dei diritti dell'uomo esiste un solo tipo di rispetto per la dignità delle persone e non ha senso continuare a creare divisioni".
Davide Fifaco