Introdotto dallo storico Jože Pirjevec, da Giorgio Rossetti, presidente onorario di “Dialoghi europei” e dall'ex deputata e senatrice Tamara Blažina, Štefan Čok ha presentato il suo primo libro, idea nata negli anni in cui ha redatto la sua tesi di laurea. Un'analisi puntuale e dettagliata sugli sviluppi della comunità slovena in Italia nel decennio dal 1970 al 1980 ed il contestuale ruolo, di primo piano, del Partito Comunista Italiano, che in quegli anni portò la voce della comunità slovena nelle aule parlamentari. Ma fu anche un'occasione mancata, come ricorda il titolo e come ci ha spiegato l'autore del testo, Štefan Čok:
“Il periodo che il libro prende in esame, gli anni '70, è un periodo che sembrava incentrato su grandi opportunità, nel senso che il clima politico, ma anche il clima generale a Trieste ed in Italia, sembra indicare che si ha la possibilità di poter arrivare ad una legge di tutela. In realtà, nella seconda metà degli anni '70, il clima cambia radicalmente: siamo negli anni successivi alla firma del trattato di Osimo, siamo negli anni in cui il PC ha aumentato costantemente i propri consensi (già nella prima metà degli anni Settanta), inizia a conoscere un riflusso, e quindi cambia anche il clima politico nazionale. Siamo negli anni della comparsa della Lista per Trieste. Tutto ciò fa sì che, un periodo che era realmente percepito come un'occasione, si riveli poi essere un'occasione mancata ed infatti, non a caso, passeranno altri 20 anni e più, prima che una legge di tutela della comunità slovena venga approvata”.
Significativo il fatto che, da “l'occasione mancata”, si passi ad una riflessione che ha fatto oggi il professor Pirjevec, che è quella che la comunità slovena, ad un certo punto, è contenta anche per il fatto che ci sia, ad esempio, soltanto una frase in sloveno per indicare il centro vaccinale in centro a Trieste...
“Sì, ma io penso che la sfida dei rapporti fra le comunità è la sfida anche di consentire ad una comunità di minoranza di potersi sentire parte costitutiva di una città (e quella slovena lo è), ma anche di essere riconosciuta come tale. È una sfida che riguarda anche l'oggi, riguarda la presenza dello sloveno in città, riguarda la presenza in generale che si ha, l'atteggiamento generale che si ha, verso le diverse lingue di questo territorio e penso che alla fine, uno degli elementi di fondo, sia proprio quello che, se è vero che il libro parla di un'occasione mancata, è anche vero, dall'altro lato, che queste non sono mai questioni che si risolvono definitivamente, perché la società cambia, le esigenze cambiano e quindi si tratta di una sfida, di un lavoro quotidiano".
Hai voluto dedicare il libro ad una persona in particolare...
“Sì, ho voluto dedicare il libro ad Antonino Cuffaro, che è stato, negli anni '70, importante dirigente del PCI Regionale e Nazionale. Persona che ho avuto modo di conoscere proprio in occasione della scrittura di questo libro, perché il lavoro che porta a questo testo nasce dal mettere a posto alcune sue carte, custodite presso l'Istituto Saranz e poi, sviluppandosi il tema del libro, da alcune lunghe interviste che gli ho fatto. Ed è stata anche la nascita di un rapporto di amicizia e di stima, malgrado tutte le differenze: di età, di percorso di vita completamente diverso... Questo mi ha molto legato ad Antonino Cuffaro ed a seguito della sua scomparsa due anni fa, ho veramente sentito l'esigenza di concludere anche questo lavoro e quindi è stato molto naturale dedicarlo proprio a lui”.
Davide Fifaco