Nel libro si racconta la ricca e mutevole storia della popolazione slovena di Trieste attraverso l'autobiografia giovanile dell'autrice.
Ecco cosa ci racconta Bogomila Kravos:
"Uno scrive sempre la propria storia. La storia degli sloveni di Trieste è un po’ particolare, sta prevalendo una versione che parla di sloveni poveri, quasi incapaci, insomma, che devono essere sostenuti dagli altri. Io ho vissuto un'infanzia, un'adolescenza, una giovinezza normale, naturalmente scontrandomi con quello che era il sciovinismo, direi italiano, purtroppo della Trieste degli anni '50, '60. Ma insomma sono sopravvissuta e credo sia anche normale. Perché il confine ci rende, direi, un po' diversi in un certo senso, ma ricettivi. Io ho sempre giocato con dei ragazzini che non conoscevano lo sloveno, ragazzini della mia età, nel mio rione. Erano tutti triestini. Tutti "bastardi", intendiamoci, però non conoscevano lo sloveno a casa avevano dimenticato lo sloveno e nessuno a casa mi ha mai proibito di giocare con loro, anzi, devo dire che ho avuto un grande papà che ci ha insegnato che l'italiano non è fascista, pur avendo lui una grossa avventura con il fascismo. Era un grande antifascista, quindi ha subito le conseguenze del regime, ma ci ha insegnato che italiano non è equivalente a fascista. Questa diversità ci renda particolari e nello stesso tempo importanti. Importanti perché possiamo effettivamente mediare tra le culture. Questa è la mia Trieste."
Secondo lei la Trieste di oggi, è pronta per questa integrazione tra la cultura italiana e quella slovena?
"Dipende da noi. Io mi impegno a mediare. Perché quello che non sopporto proprio è la chiusura, mi infastidisce. Non aprirsi all'altro. Io sono sicura di me stessa e della mia identità quindi non ho paura del prossimo."
Davide Fifaco