Nessun riduzionismo, nessun negazionismo, solo la volontà di raccontare la storia senza piegarsi alla verità di Stato. Sono questi gli obiettivi dichiarati dal gruppo di storici al centro della bufera nelle ultime settimane.

Accusati apertamente di riduzionismo, se non di negazionismo, dalla maggioranza di centro destra, dopo settimane di alta tensione studiosi come Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan, e Piero Purini Purich, si sono ritrovati al teatro dei Fabbri di Trieste in un incontro organizzato dall'Associazione "Tina Modotti", per raccontare la loro idea di ricerca storica, e denunciare un tentativo di piegare i fatti avvenuti sul confine orientale alle esigenze di Stato.
Le posizioni emerse sono state però varie: da quelle che tendono alla ricerca di una storia condivisa, agli attacchi non solo alla destra ma anche all'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione; dagli appelli a far fronte comune contro la maggioranza in Consiglio Regionale che ha approvato la mozione sulle Foibe, fino alla denuncia del professor Samo Pahor che ha affermato di avere un documento che proverebbe che non ci sarebbero corpi nel monumento nazionale della Foiba di Basovizza.

La necessità di ritrovare un metodo di ricerca storica e sottrarre il dibattito alla cronaca e alle opinioni è stata invece sottolineata dal Professor Angelo D'Orsi dell'Università di Torino, che ha anche denunciato il tentativo di ribaltare la storia delle Foibe per motivi politici: "È un processo che io chiamo di revisionismo, - dice D'Orsi - e che un certo punto arriva al 'rovescismo', cioè al vero e proprio rovesciamento deliberato dei fatti, mosso da ragioni ideologiche e spesso anche commerciali della verità storica".

"Il tema Foibe s'inquadra perfettamente in questo processo, - aggiunge - ma ha però un sottofondo culturale importante, che viene di solito sottovalutato, vale a dire la derubricazione della qualità scientifica della storia a opinione. La storia come scienza viene derubricata a opinione e quindi, invece della ricerca storica, è prevalso il gioco ad effetto, invece della serietà scientifica che lavora sui documenti e li usa correttamente, è prevalso il sensazionalismo mosso da ragioni politiche, ideologiche o anche semplicemente commerciali".

"Tutto questo a mio avviso gli stessi storici di mestiere l'hanno scoperto un po' tardi e non hanno saputo opporre una barriera: qui non si tratta di differenziarsi tra sinistra e destra, fra stotici di sinistra e storici di destra, l'unica differenza di chi fa storia è tra chi non lavora seriamente e chi lavora seriamente, analizzando i documenti in modo scientifico, attraverso una metodologia ricerca storica e le tecniche appropriate”
I toni sono saliti in questi mesi: si tratta di una fase, o di una conseguenza del processo più lungo che avete denunciato?
“Diciamo che i nodi stanno venendo al pettine: tutti i processi a un certo punto hanno delle accelerazioni, e indubbiamente negli ultimi mesi c'è stata un'accelerazione. Credo sia legata molto ai cambiamenti di umore politico, al ritorno del cosiddetto sovranismo, di un populismo di carattere nazionalista, e alla forza della Lega che è diventata sostanzialmente un partito egemone, che guida dall'interno la compagine governativa. Questo clima politico ha prodotto un'accelerazione di questo processo, un’accelerazione formidabile: quando Matteo Salvini, ministro di tutto e di niente, riesce a dire ‘i negazionisti delle Foibe mi fanno schifo’, vuol dire che il processo è arrivato proprio alle sue estreme conseguenze. Rispetto a questo bisognerebbe che davvero facessimo, per citare Salvemini, ‘testuggine a resistere’, non sono tra gli storici di mestiere, ma tra tutte le persone che ancora hanno a cuore la verità e soprattutto vogliono usare la ragione e non farsi sommergere da una parte dal chiacchiericcio giornalistico, dall'altra dalle violenze degli urlatori.”
Riguardo la mozione che è stata approvata in Consiglio regionale, c'è chi parla di un tentativo di imporre una sorta di verità di Stato: a suo parere la politica deve occuparsi della storia?
“La politica dovrebbe usare la storia, semplicemente perché la politica senza storia è piatta, non è capace di vedere il futuro. La politica è la scienza, e anche l’arte, di guardare prospetticamente il futuro, e quindi di prevedere ciò che accadrà, a partire da certa decisione che i politici prendono. La politica ha quindi bisogno della storia, ma la storia non ha bisogno della politica, è questo il problema. È la storia deve essere assolutamente non condizionata dalla politica. Cito ancora Gaetano Salvemini: quando lascia l’Italia nel 1925, prima ancora che gli venga imposto il giuramento fascista, che sarà imposto nel '31, invia una lettera al rettore dell'università di Firenze, dove era più autorevole dei docenti, in cui dice che lo storico ha bisogno della libertà come il pesce dell'acqua. Questa libertà, afferma Salvemini, oggi io la vedo conculcata, e quindi me ne vado via perché non posso lavorare seriamente. La storia deve essere libera dal condizionamento della politica, ma la politica ha bisogno della storia per nutrirsi, senza conoscenza seria del passato nessun politico può fare il suo mestiere seriamente”.
Ritiene utili operazioni come quella della commissione italo slovena che ha pubblicato una relazione condivisa sulle Foibe nel 2000, o sono troppo condizionate dal governi?
“Certamente all'origine c'è un’influenza dei governi, però se si lasciano lavorare gli storici​ in maniera seria, senza stare con il fiato sul collo, ben venga, può essere utile.”


Alessandro Martegani


Foto: Radio Capodistria/Alessandro Martegani
Foto: Radio Capodistria/Alessandro Martegani