Migliaia di telefonini accesi nella notte del centro di Sofia, per cercare "la luce in fondo al tunnel", un una crisi politica che sembra non avere fine. Così giovedì scorso la folla dei manifestanti ha dato vita ad una delle proteste più massicce degli ultimi due mesi, da quando, cioè, migliaia di cittadini bulgari riempiono ininterrottamente le strade per chiedere le dimissioni del governo di centro-destra guidato da Boyko Borisov.
Le manifestazioni, scoppiate a inizio luglio dopo un controverso caso di appropriazione di proprietà pubbliche da parte di oligarchi considerati vicini all'esecutivo, e da allora non si sono mai fermate. Borisov e la sua amministrazione vengono accusati di corruzione, scarsa trasparenza, gestione familistica del potere e dei fondi europei che arrivano in Bulgaria.
Finora però il governo ha dato chiari segnali di non voler mollare, nemmeno dopo che le manifestazioni, nel complesso pacifiche, hanno segnato una svolta violenta durante le affollate proteste nel centro di Sofia di inizio settembre. Borisov ha rilanciato con la sostituzione di alcuni ministri, la proposta - che sembra destinata ad un nulla di fatto - di rivedere la costituzione, ma ha escluso categoricamente le dimissioni.
Il muro contro muro quindi per il momento continua, ma la situazione per il governo si fa sempre più delicata: i sondaggi dicono che, con la strategia attuale, i partiti della maggioranza stanno perdendo velocemente consenso, e come se non bastasse, il Parlamento europeo ha annunciato che ad inizio ottobre discuterà in plenaria del preoccupante stato dello stato di diritto in Bulgaria.
Francesco Martino
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