E' servita una seduta straordinaria della Camera di Stato per mettere fine, nel giro di tre settimane circa, a quello che gli stessi deputati proponenti avevano messo in cima all'agenda politica autunnale. Il referendum consultivo su Jek 2 non si farà più il 24 novembre, perché, hanno detto in Aula, sarebbe irresponsabile nelle circostanze attuali. Ed è in questa vaga e patetica formula che si racchiude lo stato di salute della politica slovena, con maggioranza e opposizione che si accusano a vicenda per il precipitare del clima intorno al referendum, dopo che erano stati sempre loro a forzare tempi e procedure parlamentari per chiedere il parere non vincolante dei cittadini nel più breve tempo possibile. Secondo Miha Lamut di Movimento Libertà la decisione sul futuro energetico della Slovenia deve basarsi su un processo inclusivo e trasparente, tenendo conto della volontà popolare. Zvonko Černač, del Partito democratico sloveno, ha sparato ad alzo zero nei confronti del ministro dell'Ambiente, del clima e dell'energia, Bojan Kumer, colpevole secondo lui di nascondere dati e informazioni rilevanti per il futuro energetico del paese, a causa di non meglio precisati interessi privati. Una dialettica maggioranza-opposizione cui è però difficile credere, visti i 69 voti a favore dell'annullamento. Unico voto contrario quello di Miha Kordiš di Sinistra (Levica), nonostante il suo partito sia stato contrario fin dall'inizio. Secondo Kordiš, che gioca anche una partita interna al suo partito, un comportamento del genere è irrispettoso nei confronti dei cittadini, che devono essere ascoltati su un tema così rilevante e delicato. Il referendum in effetti è solo rinviato, il progetto Jek 2 proseguirà tanto a livello ministeriale quanto nelle commissioni competenti, ma il disastro politico rimane. Perché un risultato, questo referendum, lo ha ottenuto: ha certificato la spaccatura fra parlamento e opinione pubblica.
Valerio Fabbri