La Corte Costituzionale sta facendo un grande lavoro, ma non è ancora sufficiente per smaltire la mole di casi pendenti sui tavoli del massimo organo giudiziario del paese. Una riforma della normativa è fondamentale per alleggerire il lavoro dei giudici. Sono questi i punti principali del messaggio che il presidente della Corte Suprema, Matej Accetto, ha voluto trasmettere al pubblico durante la presentazione del bilancio annuale per il 2022 sul lavoro dei costituzionalisti che, secondo il presidente, può essere legittimamente criticato, ma non se poi questo porta discredito all'istituzione.
Accetto ha elencato dati per sostenere la sua posizione. L'anno scorso i giudici hanno risolto circa il 40% dei casi in più rispetto alla media degli ultimi 7 anni, ma nonostante ciò sono oltre 2000 i casi ancora aperti, a testimonianza della necessità di intervenire sulla gestione del lavoro dei costituzionalisti, anche per ridurre i termini della durata delle procedure. A oggi ci sono solo 315 casi che risalgono a oltre due anni fa rispetto a un numero quasi doppio nel 2021, quando c'erano ancora 7 casi fermi in archivio dal 2016.
Riforma strutturale che, secondo Accetto, deve passare per una riscrittura di alcuni passaggi costituzionali o quantomeno una modifica della legislazione che possa permettere un migliore funzionamento della macchina giudiziaria.
Accetto ha poi rivolto un appello anche ai media per adottare un comportamento più responsabile nel trattare le questioni relative al lavoro della Corte. Prendendo spunto dalle manifestazioni avvenute di fronte alla sede del Tribunale, Accetto ha detto che la critica è sempre benvenuta e, se pertinente e costruttiva, può anche essere utile. Il problema sorge quando questa si trasforma in indebolimento personale o sistemico del tribunale, creando un danno all'istituzione, ha spiegato Accetto, che ha difeso anche la segretezza delle riunioni collegiali, nelle quali si dibatte in lungo e in largo anche cambiando opinione fino alla sentenza finale, ultima istanza del lavoro dei giudici.
Valerio Fabbri