Da sinistra: il vicepresidente della Commissione infrastruture, ambiente e spazio, Tomaž Lah, il deputato Jernej Žnidaršič e il deputato Miroslav Gregorič, tutti del gruppo parlamentare Movimento Libertà. Foto: DZ/Matija Sušnik
Da sinistra: il vicepresidente della Commissione infrastruture, ambiente e spazio, Tomaž Lah, il deputato Jernej Žnidaršič e il deputato Miroslav Gregorič, tutti del gruppo parlamentare Movimento Libertà. Foto: DZ/Matija Sušnik

Come prevedibile è arrivata la marcia indietro nella commissione competente per annullare il referendum consultivo. Venerdì era in programma l'inizio formale della campagna elettorale, ma in una corsa contro il tempo i partiti politici hanno deciso di fare un'inversione a U. Troppo fragile il consenso nella società civile, troppo vicino il 24 novembre per informare il pubblico, troppo generico il quesito referendario, e infine troppo alta la posta in palio per un eventuale passo falso che pure, di fatto, c'è già stato. Il referendum è comunque solo congelato, perché il progetto rimane in cantiere, e prima dell'avvio del progetto, fra il 2027 e il 2028, l'intenzione è di convocare comunque un referendum consultivo.
Così è stata ancora una volta la presidente della Camera di Stato, Urška Klakočar Zupančič, a dettare la linea lungo il filo sempre più sottile che corre lungo procedure parlamentari e pareri giuridico-legislativi che hanno portato a una nuova seduta straordinaria della Camera di Stato convocata per giovedì, pronta a ratificare l'annullamento del referendum su JEK 2. I lavori in commissione infrastrutture sono filati via con la necessità di archiviare il prima possibile questa singolare parentesi della politica nazionale. La deputata di Sinistra (Levica) Nataša Sukič ha provato a intestarsi la vittoria della società civile. Ma anche il deputato di Movimento Libertà Miroslav Gregorič contrario sin dall'inizio al referendum, ha chiesto maggiore rispetto per il ruolo del parlamento.
Un corto-circuito lungo due settimane che il premier Golob, impegnato oltreoceano, ha addossato interamente al Partito democratico sloveno, reo secondo lui di aver invocato un referendum per poi cambiare idea. Ma al suo rientro da Washington i dossier sulla sua scrivania saranno ancora più bollenti.

Valerio Fabbri