"Abbiamo ossigeno ancora per altre 48 ore" è l’allarme lanciato dai medici di Sarajevo che stanno prestando cura a quasi 700 pazienti con Covid-19, 21 dei quali collegati al respiratore. Nelle ultime 24 ore nel solo cantone della capitale bosniaca sono morte 13 persone e su mille 600 tamponi processati ben 555 sono risultati positivi. Con una media giornaliera di oltre 600 infetti, l’incidenza in quest’ultima settimana è di mille 34 contagi su 100 mila abitanti. Un quadro preoccupante che abbraccia tutta la Federazione che nelle ultime 24 ore segnala ben 39 decessi e mille 600 neo infetti con quasi 11 mila casa attivi. Altre 14 morti registrati nelle Republika Srpska dove ci sono 362 positivi su mille e 100 tamponi. Qui denunciano quasi 6 mila casi attivi con più di 800 ospedalizzati: tanti, troppi per le strutture e per il sistema sanitario di un paese diviso e parcellizzato che non riesce a trovare una lingua comune neanche per far fronte ad un emergenza di questa portata. Situazione allarmante anche in altre aree dell’ex Jugoslavia: il Montenegro ad un anno esatto dal primo contagio che ha portato via più di mille 500 persone, con 84 mila infetti, 36 mila registrati solo da gennaio in qua mette in quarantena alcune località maggiori tra le quali la stessa capitale Podgorica. Dalla scorsa mezzanotte e fino al 24 marzo, nuovo lockdown in Serbia; rimarranno aperte solo farmacie, distributori di benzina e negozi di generi alimentari. “Non ci sono vie alternative per bloccare il trend negativo” dicono le autorità che nelle ultime 24 ore denunciano 31 morti e 5 mila 200 nuovi contagi.
Lionella Pausin Acquavita

Foto: EPA
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