I “fantasmi di pietra” sono borghi o paesi del Friuli Venezia Giulia abbandonati da molto tempo.
Il loro fascino è nell’atmosfera di sospensione del tempo che vi si respira. Con il passare degli anni e dei decenni case, scuole, fienili e altre costruzioni dell’uomo hanno sono cadute in rovina, muri e tetti sono in molti casi crollati, la vegetazione ha riconquistato il territorio. Spesso si tratta di piccoli agglomerati urbani di montagna dove l’edilizia era povera come l’economia delle genti che li abitava. Nella maggioranza dei casi i terremoti del 1976 sono stati un punto di non ritorno, una calamità impossibile da superare per un mondo ormai da tempo in declino, sofferente a causa dell’avanzare delle nuove forme di economia e di sviluppo.
“Trovarsi e camminare in questi borghi ormai spopolati o abbandonati è un’esperienza quasi estraniante”, recita il pensiero introduttivo del documentario. Pare di avanzare nello spazio e di uscire dalla dimensione temporale ad ogni passo. Come in un sogno, da quelli che oggi ci appaiono fantasmi di pietra, riemergono sospesi i suoni, le luci e le ombre della vita che animava questi luoghi.
LE VALLI ORIENTALI
Protagoniste di questo documentario dedicato alle zone più orientali del Friuli sono le Valli del Natisone e la Val Resia, entrambe caratterizzate dall’essere luoghi di confine popolati da comunità di origine slava dai tempi degli Avari e dei Longobardi.
La storia e le tradizioni di queste valli, tramandate fino ai giorni nostri, sono riconoscibili anche nell’architettura rurale. Come in altre zone delle Prealpi il progressivo abbandono dell’agricoltura e dell’allevamento ha favorito il ritorno di fitti boschi che in molti casi nascondono i resti di antichi casali o piccoli borghi rurali.
Nelle Valli del Natisone, precisamente nei pressi di Stupizza, scopriamo ciò che resta dell’abitato di Predrobac, un tempo zona di pascolo e agricoltura nei mesi estivi. E’ difficile immaginare che un tempo l’attuale intrico di vegetazione e pietra fosse un ambiente di prati terrazzati, case e depositi di prodotti alimentari. Forse si sarebbe potuto conservare meglio e la speranza è che la memoria dei più vecchi possa tramandarne ancora il racconto della vita che vi si svolgeva nel tempo. Certamente il fascino che emana è straordinario, un vero fantasma di pietra.
La Val Resia, culturalmente definita da una lingua oggetto di studio, da riti, musiche e balli ancora oggi orgogliosamente vivi, è sempre stata una sorta di isola chiusa per la sua morfologia. Distesa da est a ovest tra le severe pareti dei monti Musi e Plauris a sud e dal monte Canin a nord, era caratterizzata da agricoltura e allevamento tra il basso fondovalle e i pochi rilievi dove era possibile il pascolo. Nei prati del Pusti Gost si svolgeva la fienagione estiva, gestita quasi interamente dalle donne. Di quella vita dura, di cui i più vecchi provano nostalgia, rimangono testimoni i ruderi degli stavoli abbandonati e nuove ristrutturazioni che rappresentano un ponte tra il presente ed un passato da cui non è facile staccarsi. In questi stavoli le donne raccontavano le favole ai più piccoli al termine di lunghe e faticose giornate.