"Inderogabili norme e cautele devono osservarsi da chi parla al microfono o predispone, scrivendolo, un testo per la Radio". Sono parole di Carlo Emilio Gadda, lo scrittore milanese di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, a cui nel 1953, quando lavorarava in RAI, venne chiesto di creare una guida stilistica di riferimento per gli autori interni dell'azienda. È un trattatello che veniva allegato ai contratti dei collaboratori, le "Norme per la redazione di un testo radiofonico", che oggi si possono leggere in una piccola edizione Adelphi (a cura di Mariarosa Bricchi). Lettura gustosa, e tuttora attualissima. Niente uso della prima persona, consigliava Gadda; evitare le parole straniere quando esiste l'equivalente italiano; no a lunghi preamboli e bandite tutte le frasi pesanti e complicate, e no anche alle parole desuete o arcaiche, ai tecnicismi, insomma a "tutti quei vocaboli o quelle forme del dire - annotava lo scrittore - che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili". A un redattore radiofonico si richiede chiarezza e linearità. Di questo Gadda, autore proverbialmente difficile, grande sperimentatore di linguaggi, era pienamente consapevole.Tra le tante indicazioni, anche quella sul tono: "evitare in ogni modo che nel radioascoltatore si manifesti il cosiddetto complesso di inferiorità culturale, cioè - chiosava lo scrittore - quello stato di ansia, di irritazione, di dispetto che coglie chiunque si senta condannare come ignorante dalla consapevolezza, dalla finezza, dalla sapienza altrui".
Ce n'è abbastanza perché ciascuno di voi possa mettere sotto esame la propria voce radiofonica preferita.