Il sostegno al reddito, con buoni spesa per le famiglie bisognose, messe in ginocchio dal blocco del paese, è stato il primo provvedimento concreto attivato dal governo italiano dopo i primi campanelli d’allarme sul disagio provocato dalle misure di contenimento del virus.
Il lockdown ha infatti privato più o meno totalmente di un’entrata i lavoratori irregolari è vero, ma anche i piccoli artigiani, professionisti, categorie come in venditori ambulanti, e un sostegno aiuterebbe anche i negozi mettendo in mano alle famiglie risorse da spendere.
Sullo stanziamento da 400 milioni da assegnare ai comuni per la distribuzione di buoni pasto, sei andranno in Friuli Venezia Giulia, non sono mancate le polemiche sia per la modalità, sia per l’importo, considerato esiguo dall’opposizione.
Lo strumento però non è una novità, in particolare nei piccoli comuni: un meccanismo analogo è stato attivato 5 anni fa in un piccolo comune friulano, Mereto di Tomba, allora guidato dall’attuale consigliere regionale del Patto per l’Autonomia, Massimo Morettuzzo. Un’esperienza che il movimento autonomista avrebbe voluto estendere tutta la regione, diventato ancor più attuale negli ultimi giorni.
“Io - racconta Morettuzzo - da sindaco di Mereto di Tomba, un piccolo comune da 2600 abitanti, già nel 2015 avevo lanciato questa idea dei buoni spesa solidali: avevamo messo a bilancio 30 mila euro, che per un comune così piccolo erano una cifra anche abbastanza significativa, che venivano distribuiti alle famiglie che ne avessero fatto richiesta sotto forma di buoni spesa. C’era un vicolo però: che fossero spesi all’interno del circuito delle piccole botteghe del comune, che nel frattempo si erano convenzionate con l’amministrazione comunale all’interno di questo progetto”.
“Lo scopo di quell’iniziativa- spiega - era duplice: da una parte dare una fonte di reddito alle famiglie che avevano un reddito basso, dall’altra sostenere la rete della piccola distribuzione, quei piccoli negozi di prossimità che soffrono di più la grande presenza invasiva dei centri commerciali e della grande distribuzione, e che stanno chiudendo sempre più di frequente. Questo è un grosso problema a mio avviso, sia per la perdita di posti di lavoro, ma anche per la tenuta della coesione sociale delle comunità in particolare di quelle più piccole. Il piccolo negozio spesso è un luogo di aggregazione, oltre che un luogo di distribuzione di beni di prima necessità come vediamo succedere oggi”.
“Quest’iniziativa ha avuto un ottimo successo, avevamo raggiunto il 15 per cento delle famiglie del comune: prevedeva una somma che arrivava fino a 250 euro con buoni da 10 o da 5 per le famiglie con il reddito più basso, e fino a 150 euro per quelle con un reddito un po’ più alto. Dura ormai da 5 anni e di fatto si è dimostrato un buon progetto”.
“Noi come patto per l’autonomia avevamo depositato già un anno e mezzo fa una proposta di legge in cui chiedevano alla Regione di sostenere i comuni che mandassero avanti iniziative di questo tipo, a sostegno dell’integrazione del reddito delle famiglie e delle piccole botteghe, però purtroppo è un anno che è ferma in commissione e non è mai stata portata avanti. Speriamo che ora invece venga raccolta visto che è una tema di assoluta attualità”.
Ma quindi per lei, al di là dell’ammontare dei fondi stanziati dal governo italiano, su cui ci sono state e ci sono polemiche, è giusta l’impostazione che affida ai comuni la responsabilità della gestione di un progetto simile?
“Assolutamente sì: i comuni sono i terminali delle azioni sul territorio. Chi meglio dei sindaci, degli assessori e degli assistenti sociali ha la percezione dello stato di difficoltà di alcune categorie sociali, o di alcuni soggetti che l’amministrazione conosce? È giusto che sia l’amministrazione comunale a decidere quali canali attivare. È un metodo molto più snello piuttosto che farlo a livello centralizzato, e credo faccia parte di un processo di cessione di spazi, anche decisionali, ai territori che oggi è assolutamente inevitabile se vogliamo affrontare le cose fino in fondo”.
“Rispetto ai fondi, - conclude - è vero che non sono tantissimi e speriamo possano essere rimpinguati, però, facendo due conti, se guardo al piccolo comune che avevo amministrato, in quel caso i fondi stanziati dal governo sono 13 mila euro, quasi la metà di quello che poi era effettivamente la necessità del comune rispetto alle richieste arrivate dalle famiglie: tutto sommato, rispetto alle sperimentazioni che sono state fatte, si tratta di un aiuto considerevole”.
In Friuli Venezia Giulia però è scontro
Riguardo ai fondi per gli aiuti immediati ai bisognosi non mancano i primi scontri in regione: una ventina di sindaci del Friuli Venezia Giulia hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a quello dell'Anci Antonio Decaro e al presidente della regione Massimiliano Fedriga, denunciando “tentativi scomposti di strumentalizzare e cavalcare per bieca ricerca di consenso elettorale una situazione di difficoltà economica e psicologica per tutti i cittadini” da parte di alcuni colleghi, che, aggiungono “mostrano chiaramente che non hanno a cuore il bene dei loro cittadini”, rispondendo invece “a diktat che arrivano dai vertici di un preciso partito, la Lega di Salvini”.
“Noi viviamo con i nostri cittadini le ansie e i drammi famigliari delle persone che ci hanno dato la loro fiducia e che ci hanno chiesto e ci chiedono ogni giorno di essere responsabili superando ogni sterile e inutile contrapposizione di carattere partitico – concludono i firmatari - e non possiamo né vogliamo tradire quella fiducia”.
Una lettera di segno assolutamente contrario era stata firmata invece da sedici primi cittadini della Lega, che avevano contestato su tutta la linea la gestione dell'emergenza da parte del governo, e definito "irresponsabile far credere che con 400 milioni si potranno soddisfare le necessità dei cittadini".
Alessandro Martegani