Lo studioso triestino Borut Klabjan da tempo si occupa della monumentalizzazione della sua città. La statua a D’Annunzio, a suo avviso, “dal un punto di vista storico non è nulla di eccezionale, dato che Trieste ha un paesaggio monumentale pieno zeppo di riferimenti al passato ed anche statuali. D’Annunzio è quindi un tassello che si va ad integrare in questo paesaggio. Più problematico è il significato che deve essere dato a questa opera, non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche politico. Bisogna tenere conto del senso che D’Annunzio ha per Trieste e per tutta la regione alto adriatica. In sintesi è molto di più di un letterato che se ne sta in Piazza della Borsa a sfogliare i suoi libri”.
In parole povere un monumento non soltanto al letterato, ma anche a colui che mise in atto l’impresa di Fiume.
“Questo è l’aspetto più preoccupante. Ovviamente non credo che nel 2019 a molti faccia piacere ricordare D’Annunzio come colui che se ne andò alla testa di qualche migliaio di fanatici a conquistare Fiume. Incoraggiare la monumentalizzazione di questa figura ha un aspetto molto delicato, cosa però che non mi stupisce visto che la città di Trieste è piena zeppa di questo tipo di riferimenti”.
Riferimenti italiani.
“Il problema di fondo non è che siano riferimenti italiani. D’Annunzio non è un personaggio controverso da oggi. Quando è uscito il volume di Guido Crainz sulla storia dell’Italia repubblicana in copertina c’era una persona levava una tabella con su scritto “Via D’Annunzio”, un toponimo considerato non appropriato per la nuova Italia democratica e repubblicana. A Trieste non solo si è voluto mantenere il viale a lui intitolato, ma nel centesimo anniversario della marcia su Fiume gli viene dedicata anche una statua”.
A quel punto si poteva farla anche in uniforme bordo della sua T4?
“Non credo che cambi molto se sia a bordo della sua T4 o seduto a leggere un libro. È stato detto in più occasioni dall’élite politica triestina ed anche da altri che il monumento è posto anche a ricordo dell’irredentismo del quale Trieste è città simbolo. Mi sembra problematico che si voglia ricordare questo movimento che dalla Prima guerra mondiale in poi ha creato tutta una serie di catastrofi”.
Trieste è anche una città slovena. C i sarà una statua simile magari dedicata a Vladimir Bartol, che molti in città- ed anche in Slovenia- dimenticano?
“Possiamo anche concordare che Trieste sia anche una città slovena, ma non credo che l’elite politica locale la pensi così, quindi dubito fortemente che avremmo, almeno non tra breve, una statua dedicata a Vladimir Bartol che abbia la stessa visibilità di quelle di Joyce, Saba, Svevo e dalla prossima settimana a D’Annunzio”.
Come vive la comunità slovena cittadina la posa di questa statua?
“Non posso parlare a nome di tutti, ma per come la vedo io, con un misto di indifferenza e potremmo dire rassegnazione, perché è l’ennesima conferma di come questa città non riesce a cambiare, non riesce a togliersi quel suo bieco provincialismo, che da decenni offusca la sua impronta Mitteleuropea se non addirittura più ampia. Il prossimo anno Trieste sarà capitale europea della scienza, Fiume della cultura, sarebbe stata una ottima occasione per avviare una serie di progetti di inclusione di tutta la regione, invece credo la statua pregiudicherà tutta una serie di collaborazioni che avrebbero potuto creare nuove basi su cui dialogare nella regione Atoadriatica”.
La Carta del Carnaro, che per alcuni fu un esempio di libertà, non salva il giudizio su D’Annunzio?
“Io sono andato a rileggermela. Nella prima parte si dice che la storia e la scienza confermano il confine sacro d’Italia delle Giulie, si parla di Fiume come di un comune libero comune italico da secoli, dell’armatura impenetrabile del mito romano. Farneticazioni - che considerazioni a parte sugli aspetti sociali di quel documento – che non vanno proposte come dei modelli da seguire”.
Stefano Lusa