“Un libro adatto a tutti perché ognuno può ritrovarvi elementi che più gli interessano”, si può definire così la nuova ricerca dello storico Gaetano Benčić. Un lavoro che racchiude elementi paesaggistici, storici, mitologici, che ci parla del mestiere -ormai scomparso- dei battellanti proponendoci cartine, mappe e altre testimonianze anche inedite. “Quello della Bastia è stato il più grande scalo fluviale dell’Istria, fluviale e nello stesso tempo anche marittimo”, ci racconta l’autore e spiega: “Infatti, in croato è definito come “pomorska luka” mentre in italiano è semplicemente porto poiché - situato alla foce del fiume Quieto - era collegato al mare, all’Adriatico; infatti anche Grisignana, che era un castello, nella gerarchia amministrativa veneta godeva lo status di terra di mare”.
Il volume è principalmente dedicato al periodo veneziano e riporta fonti e documenti attinti dagli archivi di Venezia, Verona, Trieste, Fiume e al Museo Correr, ma nell’insieme racconta la storia del luogo dall’età romana al 19.esimo secolo. “Si può dire che la Bastia è la continuità di Mansio Ningum, porto romano e stazione stradale nominate nell’Itinerarium Antonini e collocate all’altezza di Ponte Porton, sulla via Flavia che andava da Trieste a Parenzo”, dice Gaetano Benčić non mancando di ricordare i cambiamenti geologici e anche meteorologici che hanno modificato la valle del Quieto. “Fango e terra hanno fatto spostare la Bastia più a occidente ovvero verso il mare, a uno, due chilometri dall’antico porto romano”, afferma l’autore e rileva: “Ho cercato di ricostruire la storia del paesaggio che -prima delle grandi bonifiche fatte dall’Austria e dall’Italia - era lagunare, simile alla laguna veneta o a quella capodistriana”.
Nel libro, emerge la grande attenzione che Venezia ha dedicato alla manutenzione del fiume e all’area circostante che comprende pure il bosco di Montona. “Bastia era quello che si definiva un carrigadore, la sua funzione prioritaria era quella di trasportare il legname verso l’arsenale della Serenissima e dunque dal bosco montonese, con carri, buoi e traini vari i tronchi venivano portati allo scalo che comunque era utile pure alla popolazione di un’area che arrivava a Pinguente e che riusciva a vendere, esportare olio, vino, grano e altri prodotti e nel contempo ad acquistare merce che proveniva da Venezia”, spiega ancora Gaetano Benčić che inserisce pure alcuni spunti mitologici come quelli legati agli argonauti e tra le altre cose conferma la tesi che identifica il Quieto con il fiume Istro, menzionato da antiche fonti. “Non è collegato al Danubio, ma le indicazioni vanno a confermare questa teoria”, sostiene lo storico che avrebbe voluto invece dedicare più spazio alle testimonianze sulla navigazione e sull’antico mestiere dei battellanti che è completamente scomparso.
“Stefano Mian, Giuseppe Saule che riposano nel cimitero di Castagna ma anche Eto e Nino Baldini sono stati tra gli ultimi a svolgere questo mestiere presente fino ai primi anni del secondo dopoguerra però ci sono ancora persone vive come il signor Romano Biloslavo di Castagna che ricorda ancora come erano fatti questi battelli, la fatica nel gestirli e il duro lavoro di queste persone che provenivano, oltre che da Castagna, da Grisignana, Portole, Lozari, Visinada”, dice ancora Gaetano Benčić che si dichiara soddisfatto dell’interesse e delle tante testimonianze emerse nel corso della presentazione del libro. “Ci sono persone che mi hanno detto di avere delle fotografie, altre che hanno dei ricordi legati alla navigazione sul Quieto e questo apre la strada a una seria ricerca etnografica”, ha concluso Gaetano Benčić non nascondendo entusiasmo e volontà di proseguire il suo lavoro su questo, come pure su altri argomenti della storia istriana. (lpa)