Gli incontri, a detta degli organizzatori, sono nati con l’intento di far rivivere alla Loggia capodistriana, quella che dovrebbe essere l’agorà della città, un punto d’incontro, confronto e scambio di opinioni. La quarta serata di discussioni dal titolo “Dialetti istriani-lingue del cuore” è stata dedicata ai dialetti istriani. Vesna Mikolič, docente dell’Università del Litorale, moderatrice dell’incontro, ha introdotto l’argomento partendo dai fatti storici che hanno portato nel dopoguerra a trascurare il dialetto istroveneto per dare spazio alla lingua letteraria, fenomeno che ha riguardato pure i dialetti sloveni. Gli spunti alla discussione sono stati forniti dal Alferija Bržan, insegnante, scrittrice di poesie in dialetto sloveno, la quale ha espresso il desiderio di vedere in ogni paese le insegne bilingui e dialettali. Aleksandro Burra, storico e dipendente della Biblioteca di Capodistria si è soffermato su alcune dimensioni da lui ritenute importanti dell’istroveneto, “parlare del dialetto vuol dire dare spazio ad un idioma senza esercito e senza stato” ha detto precisando come si tratti di una parlata che per oltre 400 anni è stata la lingua di stato, una sorta di koine. Il dialetto ora dovrebbe essere insegnato nelle scuole pe orientare le future generazioni verso uno spirito aperto alla diversità e alla convivenza.
“Io credo che il dialetto sia una realtà che noi viviamo, ci sono vari dialetti in questa regione e sono importanti tutti e credo che facciano parte di quel corredo di diversità linguistica che è espressione propria di questa regione. Io credo che vadano promossi e fatti conoscere, rappresentano un viatico importante per costruire convivenza e un’apertura di orizzonti”
Quale è il suo rapporto con l’istroveneto
“I linguaggi del cuore sono importanti, rivestono degli aspetti che ci legano a questo idioma attraverso a quella che è l’affettività. Per gli appartenenti della Comunità nazionale italiana usarlo è in un certo senso anche liberatorio e crea comunanza e vicinanza ed è un momento per sentirsi a casa”
Dionizij Botter