"Capo d'Istria è citta' antica, et come si dice fabricata da uno figliuolo di Giustiniano imperatore, alla quale egli diede il nome di Giustinopoli. Il popol è devotissimo alla serenissima signoria, e vi sono molti dottori e letterati". A scriverlo, a metà Cinquecento, è un magistrato veneziano, Giovanni Battista Giustiniani, e il suo testo, tratto dalle "Relazioni Venete" del 1553, è una delle descrizioni di Capodistria, in italiano e latino, raccolte nella mostra ora allestita dalla Biblioteca centrale, portatrice di un enorme patrimonio di memoria storica, che un progetto pluriennale finanziato dal Comune ha permesso via via di integrare e arricchire con l'acquisizione di numerosi altri volumi antichi, importanti per la storia della città. Tanti i nomi di autori che fra il XV e il XVII secolo hanno lasciato un ritratto di Capodistria, allora capoluogo dell'Istria veneta e vivace centro culturale (tanto da meritarsi l'appellativo di "Atene dell'Istria"). A cominciare dai suoi figli più illustri, come l'umanista Pier Paolo Vergerio il Vecchio, o lo scrittore Girolamo Muzio, che alla città dedicò il poemetto "Egida", dove ne narrò le origini mitiche. Dirà con orgoglio municipale in un epigramma del tardo Seicento premesso agli Statuti cittadini il nobile capodistriano Antonio Bruni: "Colui che più stima italiche e greche città, / sappia che io pure fui edificata da re e dei". E ancora, nella mostra curata da Peter Štoka, gli scritti del cartografo Pietro Coppo e quelli del letterato bolognese Leandro Alberti, che nella sua "Descrittione di tutta Italia" (1553), monumentale opera dedicata ai sovrani di Francia, ricorda "il buon territorio" di Capodistria, "che produce buoni vini, oglio e sale". Chiude la rassegna l'"Isolario dell'Atlante veneto" di Vincenzo Coronelli, celebre cartografo della Serenissima, del 1696. Dove il tono si fa quasi poetico: "Gode quest'isolata città aria salubre, e temperata; il mare le serve di specchio insieme, e di vivaio; la terra con due braccia di monti pare, che se la stringa al seno (...)".
Ornella Rossetto