Un intervento di Cassa depositi e prestiti per evitare un collasso finanziario per imprese e banche. È questa una delle ipotesi allo studio per sbloccare la situazione del bonus edilizio, il 110 per cento, strumento che ha permesso di ristrutturare, senza sborsare un euro dei proprietario, poco meno di 380 mila edifici, ma che sta anche provocando un serio problema di solvibilità.
La scorsa settimana il Consiglio dei ministri aveva cambiato sostanzialmente le regole del superbonus, meccanismo introdotto nel 2020 dal secondo governo Conte, diventato una bandiera del Movimento 5 Stelle ma sostenuto anche dal Partito Democratico, e che ha generato un costo a carico dello Stato di 71,7 miliardi di euro e, secondo il governo Meloni, un debito da 110 miliardi.
Il sistema aveva via via mostrato molti limiti a partire dal fatto di aver innescato una spirale al rialzo dei costi dei materiali e dei lavori, visto che ben difficilmente si va a controllare se è equo o meno il costo di qualcosa che viene dato gratuitamente, accanto al problema delle frodi, ma soprattutto ha creato una voragine il sistema della cessione del credito, vale a dire la possibilità di non sborsare nulla, ma di cedere il credito verso lo Stato all’impresa che realizza i lavori o alle banche. Dopo anni di cessioni sistematiche, e spesso ripetute, ora le banche si rifiutano di accettare la cessione, perché le richieste superavano le tasse dovute allo Stato. I crediti stanno rimanendo in pancia le imprese, con il rischio di veder ripagato solo in parte quanto dovuto dallo Stato.
Da qui la decisione del governo di consentire d’ora in poi solo la detrazione fiscale diretta da parte dei proprietari degli immobili; il rimborso garantito dallo Stato è poi passato poi dal 110% al 90%, in modo da spingere a controllare quanto fatturato dalle imprese e bloccare la spirale inflattiva.
Il governo deve far fronte anche alle preoccupazioni di banche e imprese, che rischiano di rimanere con il cerino in mano e hanno chiesto e ottenuto un incontro con il governo. Fra le ipotesi allo studio una compensazione fra i crediti delle aziende verso lo Stato ed eventuali debiti con il fisco, ma anche la vendita dei crediti in quote sul mercato.
Al momento però tutte le ipotesi sono aperte: “È evidente - ha detto viceministro alle infrastrutture Edoardo Rixi - che chi si occupa della finanza pubblica in un Paese la prima cosa che deve fare è riavocare a sé tutti i crediti per capire quanti sono da pagare, dopodiché l'intenzione del governo è far fronte al pagamento nei confronti delle imprese, cosa che ad oggi era bloccata comunque, perché le banche non intendevano più pagare i crediti temendo per i loro bilanci”.
Alessandro Martegani
Suggerimenti
Nessun risultato trovato.
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca
Risultati della ricerca