Sui social network abbondano i post indignati su un fenomeno che si sta registrando in questi ultimi tempi definito con il neologismo inglese "shrinkflation", nato dall'unione della parola shrink (restringere, in italiano) e del terminqe inflation, inflazione. Un tema che è stato recentemente trattato anche dal Finacial Times e che praticamente indica il modo con il quale per molti prodotti il consumatore sta pagando uguale ma ottenendo meno.
Per venire incontro agli aumenti di produzione che si stanno registrando in questi ultimi tempi, le confezioni di cibo sono diventate più piccole rispetto a qualche mese fa o contengono una minore quantità di prodotto; costando, però, sempre lo stesso prezzo. Ad esempio oggi ci sono confezioni di spaghetti passate da 450 a poco più di 400 grammi o di patatine con dentro 5-10 patatine in meno, oppure ditte come la Pepsi che hanno ridotto le dimensioni delle bottiglie di Gatorade per renderle«, a loro dire, "più aerodinamiche" e “più facili da afferrare”, ma guardandosi bene da adeguarne il prezzo.
Un'idea che non è nuova visto che i produttori del Toblerone già qualche anno fa per far fronte all'aumento del costo del cioccolato decisero di ridurre il numero dei denti di cioccolato, aumentando gli spazi tra l'uno e l'altro per risparmiare sulla materia prima, scatenando l'ira dei clienti.
Un problema che non riguarda solo il cibo ma anche i prodotti per l'igiene personale e per la casa, come la carta igienica che conta oggi meno strappi. Per difendersi non resta, quindi, che controllare il prezzo al kg degli alimenti che scegliamo e i dati che sono riportati sulle confezioni, non facendosi trarre in inganno dalla loro grandezza che in molti casi è restata all'apparenza quella di sempre.
Barbara Costamagna