Foto:
Foto:

Sono passati 10 anni. Marko Đorđić torna in Slovenia. Se ne era andato quando suo padre lo aveva spedito in Bosnia, dopo che si era messo nei guai a Fužine. Adesso deve fare i conti con il suo passato. Il suo quartiere non è più quella di una volta. I palazzi dormitorio che avevano dato un tetto ai “fratelli del sud” sono oramai diventati un ospizio, mentre nuovi inquilini entrano in appartamenti di quella domani forse potrebbe addirittura diventare una zona “alla moda”. Anche i “terroni” sono cambiati: ora si indebitano e diventano sloveni. Marko si rende conto di essere in quell’ambiente un extraterrestre.

La storia è quella di un fallito, di uno che non ha saputo combinar nulla nella vita e che ha accumulato un insuccesso dopo l’altro. Lui non ce l’ha fatta nel basket, forse non ci ha nemmeno provato e non ce l’ha fatta nemmeno a gestire le sue storie d’amore e nenache la sua vita privata. Ora si ritrova braccato dalla polizia, senza prospettive, con un padre ricoverato in oncologia ed una madre impaurita ed impotente davanti alla prospettiva di restar sola.

Eppure Marko aveva avuto la sua opportunità, era un campioncino del basket e ora a Fužine guarda (senza interesse) la sua generazione trionfare agli europei a Istanbul. Avrebbe potuto essere uno di loro, aveva tutto per emergere, ma evidentemente non aveva tutto quello che serviva. Il libro sembra dirci che la società slovena continua ancora ad offrire una opportunità a tutti, anche ai “terroni” ed agli emarginati, ma ci dice anche che più si scende nella scala sociale e meno sono i treni che passano.

Nel romanzo resta la succosa lingua degli immigrati di seconda generazione che Vojnović aveva lanciato il letteratura nel suo primo romanzo di successo. Quella libro poteva far presagire anche ad un possibile lieto fine per il protagonista. La storia si concludeva con Marko che, arrivato in Bosnia, prendeva una palla e tirava a canestro.

Potenzialmente, dieci anni dopo, avrebbe potuto essere un vincente, che insieme a Goran Dragić e a Luka Dončić alzava la coppa vinta dalla Slovenia ad Istanbul, ma siamo in Slovenia e non in America. Vojnović ha scelto di portare il suo eroe da un altra parte, giustificando così appieno la sua collocazione nell’olimpo della letteratura slovena, dove gli eroi sono spesso e volentieri tragici e dove se qualcosa può andar storto deve andar storto. Da questo punto di vista il suo è un libro molto sloveno che concede meno del primo alla satira sociale e che si tramuta in una analisi introspetiva di un perdente.

Stefano Lusa