I Balcani occidentali sono interessati da operazioni ibride condotte dalla Federazione Russa, e l'Alleanza nord-atlantica ha riconosciuto questa minaccia come quella più significativa nel suo Concetto strategico elaborato nel 2022, anno dell'invasione russa in Ucraina. A distanza di oltre due anni nessuno può dirsi al sicuro, per questo dobbiamo lavorare per accelerare un percorso che sembra già tracciato, ma che rimane ancora esposto ai venti della politica, nonostante l'allargamento, tanto della Nato quanto dell'Unione europea, sia ormai una questione puramente tecnica. E' questa la cornice che Pahor ha descritto per la regione balcanica, da sempre sinonimo di instabilità eppure, secondo lui, non del tutto responsabile di un ritardo inspiegabile. Secondo l'ex presidente ed ex premier, infatti, un moderato ottimismo è più che fondato, anche se le questioni aperte sono ancora molte. Per risolverle sono necessari sforzi congiunti per mettere al sicuro non solo quei paesi ancora fuori dalla Nato - Bosnia, Kosovo e Serbia -, ma tutta la comunità transatlantica. L'ex presidente nord-macedone Stevo Pendarovski nel suo intervento ha espresso tutto il suo pessimismo, che a sua volta l'ex ambasciatore albanese in Slovenia Illumb Qazimi ha definito "nazionalismo malato". La consapevolezza di tutti è che i paesi della regione non possano risolvere da soli le questioni legate alla sicurezza, ma solo in un contesto euro-atlantico, come sottolineato dall'ex ministra della Difesa montenegrina Milica Pejanovic Djurisic, che ha ricordato l'attacco cibernetico al suo paese poco prima dell'ingresso nella Nato. Perché in fondo, hanno ribadito tutti i relatori, la Nato è un'alleanza militare dal grande valore politico.
Valerio Fabbri