35 voti contro la sfiducia, 29 a favore: questo dicono i numeri parlamentari, che respingono così l’assalto dell’opposizione a Poklukar, il quale non può dirsi al sicuro, non solo perché la sicurezza è stato il tema dominante delle oltre 10 ore di dibattito. Evidente che il suo garante politico sia il primo ministro. Robert Golob ha chiesto ai suoi di fare quadrato intorno al ministro, forse più per ragioni tattiche che per reale convinzione. Ripescato dal premier per riempire la casella lasciata libera dall’ex direttrice della polizia Tatjana Bobnar, con la quale il regolamento dei conti è in corso alla Commissione anti-corruzione, Poklukar ha un dicastero delicato che gestisce con disinvoltura. Come detto, le critiche nei suoi confronti hanno avuto il comune denominatore della sicurezza. Quasi tutti i 29 deputati che hanno votato per la sfiducia hanno citato dati e indicatori che descrivono un paese secondo loro fuori controllo, a partire dalle aree dove la convivenza con le comunità rom è più complicata. Ma la vera questione è tutta politica o, per dirla con le parole del deputato Jernej Vrtovec di Nuova Slovenia, di credibilità perduta. Le dimissioni di Senad Jušić dal vertice della polizia sono state definite un atto dovuto dagli stessi partner di coalizione, e i temi spinosi sono ancora molti, dal Centro per la sicurezza e la protezione della Slovenia al controverso acquisto di elicotteri a scopo medico. La tensione rimane quindi elevata, come dimostra anche il comportamento di Sinistra e Socialdemocratici, che hanno deciso di astenersi, anche per rimanere nel perimetro dell’accordo di governo che esclude di votare la sfiducia agli alleati. In breve, se il passaggio in Camera di Stato è stato superato, la questione politica è rinviata. Perché la credibilità perduta non si ricostruisce in un giorno.
Valerio Fabbri