Un anno elettorale vissuto di corsa ha trasformato il volto politico della Slovenia, che saluta il 2022 con grandi aspettative raccolte attorno alle figure del premier Robert Golob, eletto a marzo sull'onda del cambiamento, e di Nataša Pirc Musar, prima donna eletta presidente. Senza però dimenticare una vecchia abitudine come quella di dividersi all'interno dello stesso campo, come accaduto nella diatriba che ha portato alle dimissioni della ministra dell'Interno, Tatjana Bobnar, a meno di sei mesi dall'insediamento.
L'annunciata uscita di scena del governo conservatore guidato da Janez Janša è stata sancita dal voto di aprile, che ha confezionato un parlamento con solo cinque forze politiche. Come da previsioni il partito di maggioranza Movimento Libertà, formato a marzo per veicolare e raccogliere il dissenso nei confronti di Janša, ha fatto man bassa di voti e deputati, e l'alleanza con Socialdemocratici e Sinistra è servita per dare una trazione progressista all'esecutivo entrato in carica a giugno. Da segnalare che Janša, prima di lasciare la scena, è stato il primo capo di governo di un paese europeo a recarsi a Kiev, insieme ai colleghi polacco e ceco, per esprimere solidarietà e sostegno al presidente ucraino Zelensky. Forse anche per esprimere discontinuità con il precedente esecutivo, in politica estera Golob ha deciso di concentrarsi soprattutto sull'allargamento dell'Unione europea ai Balcani occidentali che non spendersi per il sostegno all'Ucraina, comunque confermato.
Novembre è stato il mese più impegnativo in termini elettorali. Per scegliere il successore di Pahor, infatti, è servito il ballottaggio, vinto da Pirc Musar contro l'ex ministro degli Esteri Anže Logar, in una elezione che ha bruciato diversi cavalli, come la candidata di Movimento Libertà Marta Kos, poi uscita addirittura dal partito dopo il caso Bobnar. E sempre a novembre si è votato per il rinnovo di 212 sindaci e per tre quesiti referendari proposti da Janša per ostacolare il governo, fra cui quello sulla revisione della legge sulla radio-televisione pubblica, nessuno dei quali ha però raggiunto il quorum.
Anche se il 2023 non dovrebbe riservare grandi stravolgimenti, sembra difficile che ci annoieremo.

Valerio Fabbri

Foto: Archivio personale
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