Foto: Camera dei deputati
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Se la riforma sul premierato deve ancora affrontare un lungo iter, quella sull’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega, così come il premierato lo è per Fratelli d’Italia e la separazione delle carriere dei magistrati per Forza Italia, da ieri è legge e attende la firma di Sergio Mattarella.
Il provvedimento, nelle intenzioni, attua il Titolo V della Costituzione italiana, già riformato nel 2001, che regola le autonomie territoriali, ed è stato approvato con legge ordinaria e quindi non sottoposto automaticamente a referendum. È composto da undici articoli che definiscono i principi generali e le procedure delle intese tra lo Stato e le Regioni per l'attribuzione di ulteriori forme di autonomia.
L'Autonomia differenziata interesserà 23 materie, fra le altre salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero; settori fondamentali che potrebbero trasformare le regioni, in caso di accordo con lo Stato, in una sorta di piccole repubbliche autonome, scardinando il principio della coerenza nazionale in materie come la salute e l‘istruzione.
Il punto critico di tutto il meccanismo, che prevede accordi decennali fra regioni e stato, è la necessità di stabilire criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, anche nelle regioni che non faranno richiesta di autonomia, dei costi e dei fabbisogni standard, per non discriminare la popolazione di alcune regioni a scapito di altre. Prevista anche la compartecipazione al gettito IVA e IRPEF maturato nella singola regione.
Si tratta di un meccanismo complesso, ad aggi ancora indeterminato, dalle conseguenze difficilmente prevedibili: per la maggioranza garantirà servizi più efficienti, ma per le opposizioni, che hanno già annunciato la richiesta di un referendum abrogativo, allargherà la spaccatura fra nord e sud, nonostante meccanismi come la clausola di salvaguardia con cui Il Governo può sostituirsi a regioni, città metropolitane, province e comuni, quando verifichi inadempienze rispetto a trattati internazionali e normative comunitarie, oppure riscontri un pericolo grave per la sicurezza pubblica.
ll rischio è di avere competenze, diritti, servizi e regole diverse in ogni regione, complicando ulteriormente la vita dei cittadini e della gestione della cosa pubblica.
Una critica alla normativa è però giunta anche dalla Banca d’Italia, secondo cui lo stato perderebbe il controllo di una parte rilevante della spesa pubblica, con il rischio di dover intervenire, più di quanto faccia ora, in caso di dissesto delle finanze regionali.

Alessandro Martegani