La tesi del governo Janša è che le vittime di quelli che definisce gli altri “totalitarismi”, fascismo e nazismo, sono ricordate con rispetto, mentre la Slovenia continua a fare fatica ad acquisire nella coscienza nazionale un atteggiamento simile per quelle del “totalitarismo comunista". Una violenza che a dire del governo, iniziò nell’estate del 1941 e che durò fino al gennaio del 1946; mentre nei decenni di regime le violazioni dei diritti dell’uomo e delle basilari libertà personali colpirono migliaia di persone.
La data scelta del 17 maggio 1942 coincide con quella che fu la prima di molte esecuzioni di massa che si verificarono in Slovenia e che raggiunsero il loro apice a guerra finita, quando in alcune settimane venne liquidato l’1% della popolazione slovena, oltre che a molti soldati e civili di altre nazionalità.
Il professor Gorazd Bajc dell’Università di Maribor è lapidario nel suo commento: “Un po’ a sorpresa un governo prima di lasciare fa una giornata del genere, di una storia che è comunque molto divisiva ed è un peccato”.
Una decisione desinata a creare polemiche, visto che le vicende legate alla Seconda guerra mondiale e le divisioni tra la resistenza - progressivamente controllata sempre più dai comunisti - ed i collaborazionisti continua ad infiammare il dibattito pubblico del paese ed anche la scena politica nazionale.
Stefano Lusa