Una questione complessa quella della medaglia italiana a Tito- precisa Pellizzer- con una risposta non semplice: “Io faccio parte della terza generazione e non ho vissuto l’esodo e tutto quello di negativo che è accaduto dopo la Seconda guerra mondiale. Bisogna distinguere il ruolo che Tito ha avuto durante la lotta antifascista dove ha combattuto contro il male mondiale ed è stato a fianco di coloro che combattevano i nazifascisti, partigiani italiani compresi. Bisognerebbe studiare più a fondo quali sono state le ragioni per cui il presidente Saragat decise di concedere quella onorificenza. Saragat, nel 1969, doveva essere a conoscenza delle vicissitudini dell’immediato dopoguerra: foibe, esodo di massa e Vergarolla. Una decisione discutibile la sua, ma bisognerebbe capire quali furono le motivazioni”.
Un dibattito quello su Tito che accende gli animi.
“Dalle nostre parti ed anche in Italia le associazioni dei reduci partigiani vogliono preservare la memoria antifascista e bisogna dire che i libri di scuola né in Italia né in Croazia e Slovenia non trattano la nostra storia. La maggioranza delle persone quindi non ne sa nulla. Quando si parla di Tito le forze revisioniste, di destra e nazionaliste vorrebbero ridimensionare il ruolo di tutta la lotta antifascista. A mio avviso è giusto che si faccia chiarezza su quello che è successo dopo la Seconda guerra mondiale ed è giusto coinvolgere in questo processo le autorità italiana, croate, slovene, serbe e via dicendo, per avere una posizione comune sul ruolo di Tito dopo il conflitto. Non si può dire, infatti che tutto quello che successo non fosse anche sua responsabilità. Era il capo supremo, il presidente, dunque doveva sapere quello si stava facendo”.
E per quanto riguarda il ruolo della CNI?
“Adesso si sta tirando in ballo la comunità nazionale italiana e la sua organizzazione: l’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume. Lasciamola stare, non tocchiamola. Essa ha avuto l’onore di aver mantenuto l’italianità in queste terre. La minoranza ha tutto il diritto di essere lasciata in pace e alla comunità nazionale italiana non deve essere rinfacciato nulla. Se non ci fossimo stati noi qui non si parlerebbe più italiano e non ci sarebbero né gli odonimi e nemmeno le tradizioni. L’Italia in tutto questo periodo è stata debole, non ha avuto posizioni chiare. Non è stata in grado di contrastare le vicissitudini che ci hanno colpito dal dopoguerra in poi. L’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume aveva un unico interlocutore possibile che era il partito comunista, non ce n’erano altri. O parlavi con loro o non avevi con chi discutere. So come andavano le cose perché ho conosciuto non da vicino, ma da vicinissimo i dirigenti dell’Unione. Oggi abbiamo una serie di diritti acquisiti, che in parte con la democrazia sono venuti a mancare, che sono stati conquistati quando c’era l’UIIF. Bisogna stare attenti essere saggi, parlare con pacatezza senza creare animosità”.
Nella Jugoslavia di Tito del resto era difficile se non impossibile cantare fuori dal coro.
“Non lo poteva fare l’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume e non potevano farlo nemmeno le altre organizzazioni. Si trattava di scegliere se esserci o non esserci. Certo che bisognava stare nei canoni imposti dal regime. O eri un interlocutore e parlavi con la dirigenza comunista o non esistevi e eri allo sbando. Era meglio non avere nulla o avere una associazione che difendesse lingua, cultura e la nostra presenza storica sul territorio?”.
Tito è una figura positiva o negativa per la comunità italiana rimasta?
“Negativa perché ha fatto del male e non si può esimere dalle sua responsabilità dal dopo guerra in poi, ma positiva perché ha combattuto il nazifascismo”.
Stefano Lusa